La tragedia di una storia senza immagini

L.M. - 9 Dicembre 2010

Da sole, le parole hanno il potere (o la facoltà) di descrivere tutto l’orrore che l’uomo può immaginare o vedere. Dai libri, i registi prendono spunti, adattano sceneggiature, attraverso i paragrafi costruiscono sequenze. In questo caso è semplice: da un’invenzione letteraria si passa ad una cinematografica; due creazioni indipendenti che si avvalgono dei rispettivi mezzi per dare vita a un’opera.

Più difficile è, invece, quando le parole non appartengono a un romanzo o a un racconto. Ma ad un articolo, alla cronaca di una tragedia reale. Qui, non è possibile trasformare lo scritto in immagini, a meno che non si ritragga fedelmente il vero e se ne dia quindi conferma. La lacuna è grande. Perché, nel mondo mediatico in cui viviamo, le immagini o i video fungono da vero e proprio “collante” con la realtà. E quando non ci sono, le parole, da sole, non bastano, anche quando ad essere raccontato è un dramma che coinvolge 250 esseri umani.

Ciò di cui parlo non è una storia di ordinaria discriminazione. Ma una che vede persone «prima profughi in fuga da lavori forzati e stupri, poi finiti nella mani di una banda di predoni, attualmente incatenati nel deserto del Sinai, in attesa che qualcuno paghi un riscatto per loro». Un rapimento che dura dal 20 novembre, che conta già sei vittime e che vede, tra gli ostaggi, tre donne incinte. Perché la notizia passa in sordina e, soprattutto, il nostro governo tace? Le due risposte sono correlate. La prima è che, con la politica dei respingimenti e degli accordi con la Libia, il nostro governo, nell’aggravare la drammaticità dell’odissea dei migranti in fuga, delle responsabilità ce l’ha (e le rivendica con orgoglio). Secondo è che, viste queste responsabilità, di certo non ne parleranno le TV, quasi tutte assoggettate all’autorità del capo.

Restano i canali indipendenti, i forum, le chat, Facebook stesso, ma la notizia non sembra propagarsi nella rete: perché? Pare che, tolte le immagini, le notizie si ingeriscano tutto d’un sorso: senza masticare. Scivolano, senza fare presa. Come se la forza di un fatto non fosse il fatto in sé, ma la quantità di persone che ne parlano, ne discutono: e questo circuito, con solo parole, fa fatica ad attivarsi. Dovrebbe, forse, essere trasformata in un racconto, questa storia; nella speranza che dopo qualche abile regista ne tragga un film. E il titolo, quale potrebbe mai essere? La tragedia di una storia senza immagini?

Luigi Riccio