Madre idealizzata, moglie picchiata. Quando la violenza è contraddizione

L.M. - 7 Febbraio 2011
Dakar-clandò
la rubrica di Chiara Barison
Madri: idealizzate. Mogli: picchiate. Cos’è a generare e fomentare la violenza?

DAKAR. Anche oggi arrivo in ritardo all’università. Da quando sono qui in Senegal ho preso la brutta abitudine di non rispettare gli orari, caratteristica peculiare tutta senegalese, per cui la concenzione di tempo è decisamente relativa. Qui, per avere un appuntamento rispettatato, bisogna fissarlo almeno con due ore d’anticipo rispetto a quello previsto; forse allora, tutti saranno in orario.

Devo incontrare il professor Souleymane Barry, un antropologo dell’equipe del più conosciuto prof. Cheikh Niang, il primo ad aver trattato la tematica omosessuale in un paese altamente omofobo. Il professor Niang è un signore energico dalla risata contagiosa e dai capelli brizzolati. E’ stato allievo del grande fisico, archeologo e antropologo Cheikh Anta Diop, di cui l’università pubblica di Dakar porta il nome. Non è stato facile per lui parlare di gay e di diritti negati. Per alcuni articoli è stato minacciato in prima persona ma, come lui stesso mi precisa, la sua è una battaglia contro la discriminazione prima ancora che contro l’ignoranza. Non c’è da stupirsi allora se l’ultima delle sue ricerche riguardi ancora la violenza, ma questa volta sulle donne. Il Senegal è un paese contraddittorio e lo è in tutto, anche rispetto alla concenzione della donna. Apparentemente un paese maschilista, è in realtà alla base una società matriarcale in cui la donna è il perno centrale, specie nella figura di madre. Le madri hanno un ruolo di primo piano nelle decisioni familiari e nella gestione della famiglia tutta. Per i senegalesi la madre è sacra, idealizzata e osannata ed è spesso lei che decide per i figli, piaccia o non piaccia. Sembra strano allora che il tasso di violenza domestica sia così elevato. Il professor Barry sorride “No, non è strano, è il prodotto di una duplicità di cose: la relazione madre-figlio nell’infanzia e la banalizzazione della violenza. Mi spiego, le madri in Senegal hanno un rapporto duro con i figli. Avendone in media tre o quattro, non importerà più la modalità con cui educarli ma solo il fatto che essi ubbidiscano e lo facciano con il minor spreco di energie e nel minor tempo possibile. Questo vorrà dire un’educazione rigida, fatta spesso di violenza fisica: botte, calci, bastonate. Questo comportamento violento protratto per anni finisce per diventare abitudinario e quindi, normale. Questa la seconda componente. Un uomo che cresce avendo una relazione con la madre di paura e di violenza, svilupperà un rapporto complesso con la figura della donna, riversando spesso questa stessa metodologia educativa violenta con la moglie”. Ascolto il professor Barry e ripenso a quando vivevo a Pikine (quartiere di Dakar, ndr). Ricordo che sovente accadeva di sentire vicini litigare e urlare. I bisticci familiari finivano quasi sempre per essere risolti nella strada e allora era normale vedere prime e seconde mogli tirarsi i capelli, insultandosi per qualche gelosia tipica da matrimonio poligamo o mariti che picchiavano le mogli circondati dal quartiere silente. Sì, perché come ha detto bene il professore, la donna, come il bambino deve essere educata e per placare anche il più ribelle tra questi, serve essere duri, anche violenti. “La maggior parte delle persone intervistate nel corso della ricerca ha dichiarato che un marito violento ha diritto di esserlo, secondo il Corano, quando la moglie ha commesso qualche errore” continua il professore “Come puoi vedere Chiara, l’utilizzo distorto del Libro Sacro ha portato ad un’accettazione generalizzata della violenza domestica. Non sembrerà più tanto strano allora trovare sorelle, cugine, mogli picchiate da padri, cugini, fratelli secondo un sistema che vuole l’uomo padrone in una società dove il centro di tutto è la madre, la donna che ogni senegalese idealizza”. La violenza che diventa normalità e che dunque non stupisce più nessuno. Il Senegal delle istituzioni ha da poco istituito un ministero sulla parità di genere, un passo importante se si pensa che in quasi tutte le famiglie sono riscontrabili casi di violenza o abuso sulle donne. “La maggior parte delle violenze sessuali avviene in famiglia. Sono gli zii, i cugini o i membri della grande famiglia allargata che abusano delle donne. Questo spesso perché la convivenza di tanti in ambienti ristretti favorisce azioni di questo tipo” mi spiega sempre il professore e continua “il problema è che non se ne parla a livello istituzionale. La maggior parte delle vittime di violenza non lo confessa e se lo fa il problema viene gestito a livello familiare o di quartiere e dunque, fatto passare sotto silenzio. Le donne che denunciano abusi sono casi rari, ecco perché i dati statistici che si possono trovare a riguardo sono parziali e non corrispondono alla realtà di una situazione purtroppo tragica. La settimana scorsa stavo discutendo con una collega nel mio quartiere e all’improvviso abbiamo visto una bambina correre piangendo. Era confusa, impaurita, tremava. L’abbiamo fermata e le abbiamo dato dell’acqua. Continuava a piangere e a chiedere delle sue scarpe. Abbiamo notato subito dopo che era scalza e che aveva macchie di sangue nei pantaloni. Dopo averla rassicurata che le avremmo ricomprato un paio di scarpe ci ha raccontato che un cugino adolescente gliele aveva prese, minacciandola di dire alla madre che le aveva perse se non avesse “giocato” con lui. Ignara del tipo di gioco ha accosentito, pur di evitare le sgridate eventuali della madre ed è stata così violentata. Impaurita è scappata piangendo. Aveva appena 9 anni”. La paura della reazione della madre e di una punizione passa dunque sopra l’abuso; si preferisce dunque tacere, che parlare. Una situazione purtroppo simile all’Italia, dove anche qui, nel caso di violenza, è sempre la donna che deve giustificarsi.

“La nostra battaglia in quanto accademici è di studiare e di portare a galla situazioni di questo tipo. Noi professori dobbiamo contribuire a far emergere fenomeni che la società cerca di nascondere. Dobbiamo batterci contro la violenza in tutte le sue forme, sia essa fisica, mentale o economica e dobbiamo farlo per tutte le categorie deboli, anziani, bambini, portatori di handicap” afferma il professor Barry. Poi mi chiede: “Lo sai che in Senegal numerosi sono i casi di violenza di cui sono vittima anche gli uomini?” poi continua “Non è raro sentire di mariti picchiati o deturpati da azioni violente, come olio caldo gettato sul loro sesso, da parte di mogli arrabbiate”. Non riesco a trattenermi e rido ripensando che alla televisione, pochi giorni prima, avevo visto il presidente dell’associazione dei mariti picchiati lamentarsi dell’attuale emancipazione delle donne senegalesi.
“Hai visto? Stai ridendo. Se è una donna vittima di violenza la gente di indigna, se è un uomo la gente ride. La nostra battaglia è il superamento del genere e dell’età, affinchè tutte le forma di violenza vengano denunciate e combattute e affinché nessuno rida quando si parli di violenza, sia essa nei confronti della donna, sia essa nei confronti dell’uomo” conclude il professore, con una bacchettata che mi arriva dritta ad una risata, la mia, che ha ben rappresentato la società tutta.