Ecco perché l’Italia non revoca la fornitura di armi alla Libia

L.M. - 22 Febbraio 2011
L’analisi di Giorgio Beretta: “Il silenzio italiano è motivato dagli affari siglati dalle industrie militari italiane con il colonnello Gheddafi, a cominciare dalle controllate di Finmeccanica”
di Redattore Sociale
LIBIA. Forse non tutti sanno che l’Italia non solo è uno dei principali partner commerciali della Libia, ma anche il maggiore esportatore europeo di armamenti al regime di Gheddafi. Lo ricorda Unimondo, con un articolo del presidente Giorgio Beretta, pubblicato oggi sul sito della Ong (unimondo.org).

“Da quando nel 2004 l’Unione europea ha revocato l’embargo totale alla Libia, le esportazioni di armamenti italiani al regime del colonnello Gheddafi hanno visto un crescendo impressionante”, dice Beretta. Secondo Unimondo, infatti, si è passati dai poco meno di 15 milioni di euro del 2006 ai quasi 112 milioni di euro del 2009 (+746%).
Un incremento esploso “soprattutto nell’ultimo biennio – dice Beretta – anche a seguito del Trattato di amicizia, partenariato e cooperazione tra Italia e Libia, firmato a Bengasi nell’agosto del 2008 dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e dal leader della Rivoluzione, Muammar El Gheddafi. L’articolo 20 del Trattato prevede infatti “un forte ed ampio partenariato industriale nel settore della Difesa e delle industrie militari”, nonché lo sviluppo della “collaborazione nel settore della Difesa tra le rispettive Forze Armate”. Secondo Unimondo, i rapporti dell’Unione europea sulle esportazioni di materiali e sistemi militari certificano che nel biennio 2008-2009 l’Italia ha autorizzato alle proprie ditte l’invio di armamenti alla Libia per oltre 205 milioni di euro che ricoprono più di un terzo (il 34,5%) di tutte le autorizzazioni rilasciate dall’Ue (circa 595 milioni di euro). Dopo l’Italia, tra gli altri paesi europei che nel recente biennio hanno dato il via libera all’esportazione di armi alla Libia ci sono, Francia (143 milioni di euro), la piccola Malta (quasi 80 milioni di euro), Germania (57 milioni), Regno Unito (53 milioni) e Portogallo (21 milioni).
Ma “a differenza colleghi europei, il ministro degli Esteri Frattini si è guardato bene dal dichiarare anche solo la sospensione temporanea dei rifornimenti di armi a Gheddafi -sottolinea Beretta-. Eppure da quando sono iniziate le manifestazioni di piazza in diversi paesi del nord Africa non sono mancate le dichiarazioni in tal senso delle principali cancellerie europee”. Francia e Germania hanno annunciato l’interruzione della fornitura di armi all’Egitto (Parigi ha bloccato anche materiale esplosivo o lacrimogeno per il controllo dell’ordine pubblico e, il 17 febbraio, ha esteso a Libia e Bahrain lo stop nella vendita di armi) e la Gran Bretagna ha revocato numerose autorizzazioni all’esportazione di armi in Bahrain e Libia.
“Tra i principali esportatori europei di armamenti solo l’Italia tace -riprende Beretta-. Eppure non sono mancate le sollecitazioni: dopo i primi tumulti nei paesi del nord Africa, Rete Disarmo e la Tavola della pace avevano chiesto esplicitamente al Governo italiano di sospendere ogni forma di cooperazione militare con Algeria, Egitto e Tunisia e di fatto con tutti i paesi dell’area. Simili richieste sono state inoltrate dalle associazioni pacifiste in Germania, in Francia e nel Regno Unito i cui governi, inizialmente refrattari, hanno dovuto rispondere all’opinione pubblica. Solo il ministro Frattini è sordo ad ogni sollecitazione”. 
ITALIA. Perché l’Italia, a differenza di Francia e Gran Bretagna, non ha ancora revocato la fornitura di armi alla Libia? Una domanda a cui prova a rispondere Giorgio Beretta della Ong Unimondo, in un articolo pubblicato oggi sul sito unimondo.org . Secondo Beretta, il silenzio italiano è motivato dagli affari siglati dalle industrie militari italiane con il colonnello Gheddafi, “a cominciare dalle controllate di Finmeccanica”, tra cui Agusta Westland (elicotteri, anche da guerra), Alenia Aermacchi (aerei da combattimento) e Mbda (sistemi missilistici).
Secondo le relazioni annuali della Presidenza del Consiglio sulle esportazioni militari, citate da Unimondo, dal 2006 al 2009 le controllate di Finmeccanica in Libia hanno venduto elicotteri militari, aerei, dispositivi per l’ammodernamento di aeromobili, ricambi, servizi di addestramento e persino missili (attraverso la Mbda, partecipata al 25% da Finmeccanica, ndr), per un totale di oltre 164 milioni di euro. Non solo: la holding italiana, partecipata al 32,5% dal Ministero dell’Economia, ha come secondo azionista proprio la Lybian Investment Authority, l’autorità governativa libica che detiene una quota del 2,01%, “quota che Gheddafi mira ad espandere fino al 3% del capitale per imporre nel consiglio di amministrazione alcuni dei suoi uomini fidati e che comunque già adesso le permetterebbe di eleggere fino a quattro delegati”, spiega Beretta.
Anche le voci minori in apparenza minori, secondo Beretta, devono destare preoccupazione, come i 2,2 milioni di euro spesi in “ricambi e addestramento” per i velivoli F260W della Alenia Aermacchi, di cui la Libia possiede circa 250 esemplari. Questi aerei, “che in Europa vengono utilizzati come addestratori, in Africa e America latina sono spesso impiegati come bombardieri”, scrive Beretta, citando un articolo di Enrico Casale apparso sulla rivista Popoli. Secondo il giornalista del mensile dei Gesuiti, nel luglio 2009 Finmeccanica e la Libyan Investment Authority hanno stretto ulteriormente i loro rapporti siglando l’impegno a creare una nuova joint-venture (con capitale di 270 milioni di euro) attraverso la quale gestiranno investimenti industriali e commerciali in Libia, ma anche in altri Paesi africani. A cominciare da un accordo siglato da Selex Sistemi Integrati, società controllata da Finmeccanica, e dal governo libico: un contratto del valore di 300 milioni di euro che consentirà la creazione di un sistema di “protezione e sicurezza” dei confini meridionali della Libia per frenare l’immigrazione.
“Forse anche per questo il ministro Frattini è in difficoltà ad intervenire quando sente parlare di sanzioni contro il leader libico -chiosa Beretta-. Gli andrebbe ricordato che la legge 185 del 1990 e la Posizione comune dell’Unione europea sulle esportazioni di armamenti chiedono di accertare il ‘rispetto dei diritti umani nel paese di destinazione finale e il rispetto del diritto internazionale umanitario da parte di detto paese’ e di rifiutare le esportazione di armamenti ‘qualora esista un rischio evidente che la tecnologia o le attrezzature militari da esportare possano essere utilizzate a fini di repressione interna’”. Proprio per evitare questo tipo di utilizzo, Francia, Germania e Regno Unito hanno deciso nei giorni scorsi di sospendere le esportazioni militari a diversi paesi, tra cui la Libia. Info: www.unimondo.org