Milano, il 21 marzo apre il Festival di cinema africano, d'Asia e America latina

L.M. - 1 Marzo 2011
Il film di apertura sarà “A woman, a gun and a noodle shop”, di Zhang Yimou. Accanto alle sezioni competitive (lungometraggi, documentari e cortometraggi dai tre continenti), quest’anno il festival dedica una sezione speciale proprio alla commedia
di Giulia Genovesi, Redattore Sociale
EVENTI. “A woman, a gun and a noodle shop”. È questo il titolo del film con cui il Festival di cinema africano, d’Asia e America latina inaugura la sua 21a edizione, il 21 marzo, all’Auditorium San Fedele di Milano.

Una commedia nera diretta da Zhang Yimou, noto al grande pubblico per film come “Hero” o “Lanterne rosse”. E non è un caso che la scelta sia ricaduta proprio su questo film. Accanto alle tradizionali sezioni competitive, che comprendono lungometraggi, documentari e cortometraggi dai tre continenti, quest’anno il festival dedica una sezione speciale proprio alla commedia: “E tutti ridono…”, che presenta otto film, selezionati insieme a Gino e Michele. “Un modo per inserire nel programma anche opere più commerciali, che nei rispettivi Paesi raggiungono le masse. Ma sempre mantenendo una buona qualità -spiega Alessandra Speciale, della Direzione artistica-. Anche perché spesso è proprio la commedia che, prendendo in giro la società, ne offre un’analisi più acuta”. È il caso di “Tere Bin Laden” di Abhishek Sharma (India, 2010), ambientato tra Pakistan e Usa, che fa satira sulla fobia del terrorismo post 11 settembre e sulla figura di Bin Laden.
Altra sezione speciale è quella di “Raiding Africa”, un progetto avviato insieme al Rotterdam international film festival. Mentre l’anno scorso sono stati presentati film girati in Africa da registi asiatici, quest’anno i ruoli si sono invertiti: sette giovani filmmaker africani (con un’età media di 23 anni), hanno viaggiato in Cina e hanno girato corti e mediometraggi in cui osservano e raccontano la cultura cinese. “Se nella realtà è la Cina che sta colonizzando l’Africa, nell’immaginario dei registi è l’Africa che va con le videocamere alla conquista del colosso cinese” commenta Alessandra Speciale. Caroline Kamya, dall’Uganda, ambienta in Cina una tipica fiaba africana. Il video-artista Xenson adotta il punto di vista di un serpente che penetra nella vie di un città cinese (non molte diverse da una giungla), le conquista, ma infine si fa ipnotizzare dalla cultura locale, personificata in una ragazza che suona uno strumento tradizionale. Yves Montand Niyongabo sceglie la prima persona per raccontare il suo viaggio in Cina, in cui, parlando con la gente che incontra per strada giorno dopo giorno, arriva a confutare il bagaglio iniziale di pregiudizi e suggestioni.
Alla realizzazione del progetto ha partecipato la Li Xianting Film School di Pechino che ha organizzato un workshop di cinema durante il quale i sette giovani registi africani hanno lavorato insieme a professionisti asiatici. “Lo scopo è di mettere in contatto i filmmaker e le piccole realtà produttive indipendenti dei due continenti, favorendo la nascita di collaborazioni e progetti internazionali, a basso costo” dice Alessandra Speciale.
Fra i film in concorso, da segnalare “Ways of the sea” (Filippine): in un film di fiction girato in modo quasi documentaristico, il regista Sheron Dayoc mette in scena le vite dei migranti filippini che cercano di raggiungere la Malesia. Un tema simile è affrontato anche da “The nine muses”, di John Akomfrah: la storia dell’immigrazione africana e indiana in Gran Bretagna negli anni ’50 , raccontata sotto forma di una vera e propria Odissea omerica, con fitti riferimenti letterari, musicali, artistici al mito di Ulisse, attraverso un linguaggio sperimentale e poetico.
Come ogni anno, la sezione fuori concorso “Extr’A” è dedicata ai registi italiani che hanno scelto di parlare dei fenomeni legati all’immigrazione in Italia, come “Il sangue verde”, di Andrea Segre, sui fatti di Rosarno, e “Hermanitos – Fratelli d’Italia”, di Jacopo Tartarone, sulle bande dei Latin kings di Milano.

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