Il silenzio di una fuga annunciata. L'emigrazione italiana e il discount cinese

L.M. - 27 Aprile 2011
Dakar-clandò
la rubrica di Chiara Barison
E se fossero i giovani italiani invece che vanno loro malgrado “for dai bal”?

RUBRICHE. Sono da poco tornata in Italia, è passato un anno ormai, un anno non è poi così tanto, penso, mentre passeggio per Padova. Eppure qualcosa non va. Qualche giorno fa ho incontrato Silvia, una giovane avvocatessa veneta, conosciuta tramite Facebook.

Mi aveva contattata per propormi di fare alcune lezioni nel liceo frequentato dalla figlia adolescente. “C’è bisogno che questi ragazzi vedano che un altro punto di vista c’è” mi ha detto seduta di fronte a me “e che un altra scelta per loro esiste, non solo quella diseducativa proposta dai mass media”. Ce ne fossero di mamme come Silvia. Poi però una frase mi ha fatto pensare, e pure parecchio “Chiara, scappa prima che puoi, viviamo in un paese che stà implodendo. Tutto fuori sembra che sia perfetto, in realtà è tutto marcio”. Silvia ha ragione e per chi vive di osservazione come me, non è tanto difficile notarlo. Nonostante i negozi espongano merce sempre più cara, la metà delle attività che un anno fa mi ero lasciata alle spalle, oggi non ci sono più, fallite. Negozi vuoti con l’insegna “affittasi”. Sono moltiplicati invece i negozi di cinesi, sempre più grandi e sempre più carichi di oggetti di ogni tipo. Questi, di negozi, sono sempre pieni di gente, italiani compresi. Ieri ho fatto un giro in uno di questi nuovi spacci del sottocosto, mi ci ha portato Ivana, la mia migliore amica croata. Come accusare gli italiani che qui vanno a comprare, di distruggere il mercato? Qui i prezzi sono davvero bassi e la qualità pian piano comincia a migliorare. Le persone non hanno più soldi; tanti non hanno nemmeno più un lavoro, possibile davvero immaginare che facciano le compere alla Diesel? Mi perdo per un istante tra magliette con fiocchi, cuori e pois. Poi penso che questo negozio è stato aperto a fianco delle mense popolari. No, non è un caso. Ho lavorato per parecchio tempo alle mense gestite da Suor Lia e ricordo ancora che già sei anni fa mi disse: “Chiara, presto succederà qualcosa. Lo so e sai perché? Perché gli utenti non sono più solo barboni, tossici o stranieri, ma cominciano ad essere soprattutto italiani. Arrivano intimiditi, si vergognano, poi ti raccontanto che hanno perso il lavoro e che non hanno più soldi nemmeno per mangiare. Quando si arriva a questo punto, vuol dire che qualcosa, a livello di governo, non va più. Gli italiani, se non si ribelleranno a questa situazione, saranno destinati alla povertà”. In quel momento non avevo dato tanto peso alle parole di Suor Lia, ma in quel negozio cinese stracolmo di italiani, fianco a fianco alle mense popolari e ad una stazione brulicante di miseria, le sue parole sono risuonate come una triste profezia. Qualcuno dal capello trapiantato e dal vizietto per le minorenni direbbe che non è vero, che tutto va bene o, come recitava l’inizio del famoso film di Kassovitz “L’odio”: “Fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene, fino a qui tutto bene. Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio (con tonfo finale)”. Passeggiando per il centro di Padova mi accorgo che non ci sono più tutti i senegalesi che fino allo scorso anno si potevano trovare intenti a vendere. Ora che ci penso, nei miei sposatamenti di città in città, di senegalesi ne ho visti davvero pochi. Questo anche, dovrebbe far pensare. I senegalesi hanno capito che in Italia non c’è più nulla da guadagnare, anzi, stando qui si rischia pure di perderci e incominciano a partire, chi per rientrare a casa, chi verso altri paesi europei, come il Belgio o i paesi scandinavi, così come mi ha confermato anche Thierno, per anni residente a Rimini. Su skype mi ha spiegato in maniera lapidaria la sua scelta di partire per Bruxelles: “Non c’è più nulla in Italia, Chiara. Dicono che gli stranieri vogliono venire lì ma non è vero, la verità è che adesso sono gli italiani che se ne vogliono andare. Siete voi i nuovi immigrati nel mondo”. 70.000 i giovani italiani che, effettivamente, hanno lasciato l’Italia lo scorso anno. Nessuno ne parla, oppure, tutti fanno fina di non vedere. Dovremmo invece riflettere a questo dato allarmante. Se i giovani decidono di fuggire, perché è questo quello che fanno oggi i giovani italiani, qualcosa davvero non va, perché vuol dire che il loro paese non ha più nulla da offrire loro se non povertà (anche culturale) e sofferenza. Meglio allora tentare la fortuna altrove. E se i giovani lasciano un paese, e a farlo sono magari quelli più preparati e acculturati, chi resterà a governare questo paese? Una classe media e mediocre che non farà altro che peggiorare una già disastrosa situazione. Continuo a guardare magliette cinesi e a provare ballerine con gli strass seduta tra due signore rumene. Alzo la testa per cercare Ivana, lei è in cassa, sta pagando un paio di pantaloni. La commessa è italiana, il proprietario, cinese, osserva tutto da lontano. Io, penso che anche 15 euro per una maglietta sono tanti. Forse qualcosa che non va davvero c’è, forse suor Lia aveva visto lontano, forse quel “fora dai bal” urlato a gran voce dai leghisti dovrebbe essere rivisto, perché gli unici che vanno “for dai bal” per ora sono proprio i figli di quel nord Italia che cade a pezzi e che senza lavoratori immigrati sarebbe destinato a morte certa.