Affari e malaffari. Ecco cosa significa vivere a Lampedusa

L.M. - 28 Aprile 2011
Affari e malaffari a Lampedusa. L’inchiesta che aiuta a capire cosa pensano e come vivono gli abitanti dell’isola più famosa d’Italia.
L’inchiesta di Sanfilippo e Scialoja, pubblicata un anno fa e ancora attualissima, offre una panoramica sulla vita dell’isola, dimostrando come, a prescindere da quello che vediamo in TV, l’immigrazione clandestina provochi rabbia più per i mezzi costosi e le operazioni mirabolanti che comporta che per il fatto in sé degli ingressi.
Ebbene sì: a parte situazioni eclatanti come le recenti migrazioni dal Maghreb, gli isolani, i migranti non li vedono neanche: arrivano al porto e dal porto sono trasferiti al centro di via Imbiacola, invisibili. E allora perché protestano, si arrabbiano i lampedusani?
Come aveva già raccontato Dagmawi Yimer in Soltanto il mare, a Lampedusa non c’è razzismo (tra l’altro, il prete dell’isola è nero), piuttosto esasperazione per l’abbandono a cui si sente destinata. Il problema numero uno sono i trasporti, che non ci sono, sono pochi o difficili sia per i viaggi civili che per quelli commerciali. Se c’è il mare grosso e i pescatori non possono raggiungere la terra ferma il loro lavoro è cestinato; di qui la rabbia quando, all’arrivo di migranti, si attivano procedure straordinarie a loro spesso negate. Altro problema sono gli ospedali, che coprono in maniera parziale le esigenze della popolazione; una partoriente e la sua famiglia, ad esempio, devono recarsi a Trapani o a Palermo, spendere di propria tasca i costi del viaggio e dell’alloggio in città senza nessuna sovvenzione da parte dello Stato.
IL MITO. Un mito da sfatare è quello che crede Lampedusa -da sempre- la porta d’Europa. In realtà, è all’incirca dal 2002 che i trafficanti abbandonano la rotta adriatica per puntare sull’isola. Come racconta Bruno Siracusa (ex sindaco di Lampedusa), negli anni ’96-’97 i migranti, in assenza di un centro d’accoglienza, “senza nessuna assistenza, sbarcavano e andavano ad occupare”. A dimostrazione che le rotte sono mutevoli e non si arrestano mettendo una pezza qua e una là, come aveva creduto la Lega Nord e Silvio Berlusconi con la Libia.
Poi ci sono gli “affari e i malaffari”, come recita il titolo, ma qui la situazione si fa prettamente italiana. Abusivismo edilizio, sfruttamento economico dell’immigrazione da parte dei soliti noti, aziende fantasma, fondi che arrivano e poi si perdono. L’isola è piccola ma strategica, tanto da attirare pure l’attenzione dei dirigenti leghisti. Angela Maraventano, senatrice lampedusana, è l’esponente Lega Nord di Lampedusa. E’ sua la proposta di spostare l’isola dalla provincia di Trapani a quella di Bergamo (con cui sono meglio collegati rispetto al loro capoluogo); proposta che, a parte l’ilarità che suscita, dimostra quanto una certa insofferenza verso la Stato centrale ci sia. Non per gli immigrati in sé ma per richieste storicamente ignorate.
Leggere questo libro aiuta a farsi un’idea, a leggere tra le righe quando, accendendo la TV, veniamo a conoscenza di una rivolta, di una protesta della popolazione contro gli sbarchi. Se l’isola ha una sua importanza -sembrano voler dire gli abitanti- che allora ci indennizzino, ci risolvano i problemi. E se non lo fate e per voi siamo zero -sembrano continuare- allora lasciateci stare sul nostro scoglio qui in mezzo al mare, a pochi chilometri dalla Tunisia e dall’Africa. Poco date poco avrete. Punto.
Luigi Riccio
A Lampedusa. Affari, malaffari, rivolta e sconfitta dell’isola che voleva diventare la porta d’Europa. Di Fabio Sanfilippo e Alice Scialoja. 167 pagg, 13 euro. Infinito edizioni