Il danno dell'emigrazione europea non professionalizzata in Senegal. Oltre il danno, la beffa

L.M. - 2 Maggio 2011
Immigrato, bianco e poco preparato? In Senegal si può. Più dei senegalesi, autoctoni, neri e ben istruiti
DAKAR. Incontro Marzia in un piccolo ristorante a Ngor Virage, quartiere mondano di una Dakar in continua trasformazione. Non la conoscevo prima ma come mi accade spesso negli ultimi tempi, i social network che così tanto odio e così tanto amo, fanno da ponte tra me e chi legge i miei scritti sul Senegal.
Di lei mi avevano colpito le foto, semplici ma differenti. Critica come sono erano riuscite ad attirare la mia attenzione oltre al suo giudizio spesso tagliente che mi aveva in alcune occasioni particolarmente urtato. E bella Marzia lo è davvero. E’ come nelle foto, solare, ed è come i suoi commenti, pungente ed intelligente. Arrivata in Senegal per caso, un viaggio deciso a tavolino con l’allora fidanzato e poi l’innamoramento di una terra ricca di storia, cultura e arte. Da lì un continuo via vai per portare avanti progetti in cui i protagonisti sarebbero stati i bambini. E le foto. E’ lei che mi apre lo sguardo per la prima volta su un aspetto della nuova migrazione che non avevo ancora preso in considerazione: cosa succede quando ad emigrare nei paesi terzi sono giovani europei, senza mezzi e professionalmente poco qualificati? No, non accade come da noi, dove i migranti provenienti dai paesi in via di sviluppo, spesso laureati, sono costretti ad accettare i lavori che gli europei non farebbero, tagliati fuori dalla possibilità di evoluzione nella scala sociale e vincolati a pericolose categorizzazioni da cui difficilmente riusciranno a liberarsi. Qui accade l’inverso. Un europeo, solo per il fatto di essere europeo, riuscirà più facilmente a trovare un lavoro, anche di un certo prestigio, nonostante non sia preparato a sufficienza. E comunque, a parità di curriculum, avrà più chance di essere assunto rispetto ad un senegalese. “Questa cosa mi fa arrabbiare” mi dice Marzia mentre io le fisso i curiosi occhiali blu e gialli “nessuno dice niente, eppure per chi viene dai paesi terzi, oltre il danno, la beffa. Chi fatica e spende soldi per studiare e professionalizzarsi, si vede fregare il lavoro da un mr nessuno che sbarca nel suo paese, senza la preparazione necessaria, solo perché bianco”. Poi continua “una mia cara amica senegalese è venuta da me pochi giorni fa. Piangeva. Mi ha detto che un amico francese le aveva chiesto di tradurre il suo curriculum per un lavoro di montaggio video in una televisione locale. Sapeva che in Francia non avrebbe mai potuto lavorare perché non aveva la preparazione necessaria. Era un autodidatta del video, di quelli da documentari caserecci fai da te. Suo fratello senegalese, appena uscito da una scuola privata di Dakar ha presentato il suo, di curriculum, per lo stesso posto. Ovviamente hanno preso il francese, perché oggi, in questa Dakar-business, fa figo avere bianchi che lavorano nelle imprese mediatiche (ma non solo), anche se non sanno fare nulla”. Ascolto Marzia ed effettivamente ha ragione. Nell’ultimo anno ho incontrato parecchi giovani europei sbarcati in Senegal alla ricerca di futuro, senza mezzi né diplomi. Ancor prima dell’arrivo in terra africana, sembra esserci la sicurezza che tanto, prima o poi, un lavoro lo si troverà, perché europei. E in Senegal persiste vivo quello che i senegalesi stessi chiamano “il complesso verso i bianchi”, per cui tutto ciò che arriva da fuori, compreso le persone, sono migliori di ciò che si può trovare qui.
Non ci sarebbe effettivamente nessun problema se chi arriva e in possesso dei requisiti professionali necessari tentasse la sua fortuna come un senegalese per un posto di lavoro. Il danno è la mancanza di reale professionalità per cui ad esempio, un ingegnere del suono pessimo, arrivato da un qualsiasi paese europeo ha il doppio di possibilità in più rispetto ad un senegalese, con un livello di preparazione maggiore, di arrivare ad avere un posto di lavoro in un’emittente radio o tv. Lo stesso vale per il sistema educativo. Dakar è una città invasa da scuole e università private, alcune anche di dubbia origine. E in queste scuole sono ricercati dipendenti europei perché avere professori non senegalesi aumenta il valore dell’immagine dell’istituto stesso e con essa, la tariffa annuale che gli studenti (senegalesi) dovranno versare. Conta la loro preparazione? Poco davvero, basta un diploma e il passaporto europeo.
Marzia mi guarda dritto negli occhi mentre mi parla, una cosa che in pochi fanno ormai e aggiunge: “cosa potevo dire alla mia amica. Ha ragione e non è giusto. L’ingiustizia raddoppia. Non solo i senegalesi non possono essere liberi di partire in Europa e cercare un lavoro come noi europei facciamo qui, ma devono anche sperare che un europeo non freghi loro il posto per cui hanno tanto sudato”.
Penso allora ai mille dibattiti italiani per cui la gente non vuole immigrati “perché rubano il lavoro agli italiani” (quale tipo di lavoro poi?) però nessuno dice niente sui figli di questi stessi italiani, che in tempo di crisi, decidono di emigrare a loro volta, soffiando il lavoro proprio ai figli di quegli stessi immigrati che si vorrebbero cacciare dal nostro territorio. Che strana e complessa la società globale odierna. Globalmente ingiusta, direi. E mentre in Italia un senegalese laureato con master e dottorato difficilmente riuscirà ad insegnare in una prestigiosa scuola privata di Milano, un milanese con una laurea triennale riuscirà facilmente a trovare un lavoro in una delle tante scuole private di Dakar. Perché italiano. E non avrà nemmeno problemi di permesso di soggiorno, perché, per quanto se ne dica, nonostante in Senegal uno straniero necessiti di un permesso di lavoro dopo tre mesi di residenza sul territorio, in pratica in pochi realmente ce l’hanno e continuano a vivere tranquillamente senza la paura di essere rimpatriati o di essere espulsi all’improvviso dopo un controllo di polizia.
“A quando una politica equa e giusta?” mi chiede Marzia ma io non so cosa risponderle. Io che sono italiana e che ho deciso di vivere in Senegal, tentando la fortuna proprio nell’insegnamento. Penso e rifletto ad una mail arrivatami stamattina. A scrivermi una ragazza di Brescia che mi diceva “voglio trasferirmi in Senegal, non so cosa potrei fare ma non credo sia difficile trovare lavoro per un’italiana lì, magari potrei insegnare italiano”. Magari.
Chiara Barison