La prigionia degli amori.

L.M. - 6 Maggio 2011
Amori irregolari, clandestini, espulsi. La migrazione forzata dei coniugi europei. Lucia e Mamadou, una separazione forzata. Quando lo Stato vieta l’amore.
Non so come mai ma stamattina volevo lanciare un piccolo dibattito sul mio profilo Facebook, cosa abbastanza usuale, mi piacciono le discussioni e, soprattutto, il confronto tra differenti punti di vista. Il dibattito avrebbe dovuto riguardare le relazioni amorose e la coppia e la domanda era: “Cosa ne pensate delle relazioni a lunga distanza?”. Non l’ho postata, almeno per oggi. Non l’ho fatto perché mi è subito venuta in mente un’altra domanda: “Sì, ma che tipo di distanza e che tipo di separazione, scelta o forzata?”. Il primo articolo della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo recita Tutti gli essere umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Oggi più che mai questo è falso oppure, in tanti, troppi, non rispettano questa Dichiarazione.
Non nasciamo liberi per nulla, in pochi effettivamente lo sono, vuoi chi nasce dalla parte “fortunata” del mondo, vuoi chi ha i soldi sufficienti per comprarsi tutta la libertà di dire, fare, agire come meglio crede. In questa società odierna non solo non siamo liberi di muoverci come desideriamo, ma non siamo nemmeno liberi di amare chi ci pare. Oggi non possiamo amare un clandestino perché la legge ce lo vieta. Un immigrato clandestino non esiste, o meglio, non dovrebbe essere, per cui non ha nessun diritto, solo l’obbligo di tornare lì da dov’è partito, poco importa la ragione per cui lo ha fatto o poco importa se le persone che legiferano sulla libertà delle persone sono libere di fare ciò che vogliono. E allora se malauguratamente ti innamori di un clandestino non puoi sposarti in Italia perché, di fronte ad un funzionario dello stato, esso non esiste. Non puoi farlo, non sei libero di sposare chi ami, almeno che questi non sia in possesso di un regolare permesso di soggiorno. Permesso di cosa? Di poter cambiare la propria vita? Di poter trovare un lavoro? Di poter viaggiare? Di poter amare? Di poter sposarsi? Di poter vivere? Ma davvero è un pezzo di carta che può darci “l’autorizzazione” alla vita? E allora, a chi ama un clandestino, non resta che ingegnarsi per poter rendere ufficiale il proprio amore. San Marino?
Ormai le frontiere sono chiuse anche lì, per chi vuole essere libero di amare. L’unica soluzione resta il paese d’origine dell’amato, salvo poi ottenere il “via libera” dalla questura, che dirà se questa persona potrà o meno mettere piede sul territorio italiano. Pensavate voi, poveri ingenui, che amare fosse un diritto che ogni uomo dovrebbe avere, eppure non è così. Non siamo liberi di amare, specialmente, non dove vogliamo. In Italia non tutti gli amori sono regolari, come rispose una volta un dipendente dell’ambasciata di Dakar ad un’amica: “Suvvia, signora, se la questura della sua città ha negato il permesso di entrata a suo marito, può sempre decidere lei di venire ad abitare qui, in Senegal”. Sempre più numerosi i casi di “prigionia degli amori”, casi per i quali, immigrati espulsi e, successivamente, sposati a cittadino italiano, non possono (in taluni casi) fare rientro in Italia. Cosa succede allora? Succede che chi si sposa non potrà vivere il proprio amore in territorio italiano. E la libertà della persona, la libertà di un cittadino italiano di amare chi vuole, anche nel proprio paese? Non esiste, tutto tace o si fa finta che situazioni così non esistano. Ne esistono fin troppe invece e anche se fosse solo una, andrebbe denunciata perché una plateale violazione dei diritti fondamentali della persona. Ognuno di noi dovrebbe essere libero di sposarsi chi vuole e di vivere il proprio matrimonio nel paese che più gli aggrada, non essere obbligati a stare nell’unico paese che ti darà la libertà di farlo. In Italia, oggi, si decide chi ama chi, chi ama quando, chi ama dove.
Ho parlato con tante donne che si sono trovate nella stessa situazione di Lucia. Lucia stava assieme a Mamadou da ormai sei anni, un amore consolidato, il mutuo, la normale vita quotidiana di una giovane coppia. Mamadou all’improvviso perde il lavoro e, in poco tempo, perde pure il permesso di soggiorno. “Non importa”, avrà malauguratamente pensato, “una soluzione prima o poi si troverà”. Mamadou allora inizia a vendere, come fanno tanti altri suoi connazionali. Arriva la prima espulsione. Mamadou decide di restare, “Una soluzione”, forse, “arriverà”. Arriva la seconda esplusione e il ritiro della merce da parte dei finanzieri. Mamadou e Lucia, da sempre restii al matrimonio, decidono di sposarsi, per poter essere liberi dalle catene di un permesso che, se non c’è, rende le persone invisibili. Lucia decide di partire per il Senegal con Mamadou. Finalmente, in Senegal, si sposano e, nel giro di poco tempo, portano tutti i documenti in ambasciata. Lucia e Mamadou sono felici, presto potranno ricominciare a vivere nella loro Italia.
All’improvviso una telefonata dall’ambasciata. “Mi dispiace signora, la questura di Torino ha detto suo marito non può avere i documenti necessari al rientro perché ha già due espulsioni non rispettate alle spalle”. Il sogno di Lucia e Mamadou si infrange miseramente in pochi minuti. “Ma non si demoralizzi signora, può sempre venire ad abitare qui”, dice serena la voce dell’impiegata. E il diritto di Lucia di stare con suo marito in Italia? Di vivere la normale quotidianità di un matrimonio? La Dichiarazione dei diritti universali dell’uomo è finita al posto della carta igienica, nei bagni delle questure italiane. Lucia, che ha un lavoro a tempo indeterminato, non può permettersi di lasciarlo, non è ricca, non può dunque comprarsi la sua libertà di vivere. Riparte, suo malgrado, distrutta dal dolore di una separazione forzata che la logora lentamente.
Mamadou è costretto a restare in Senegal, nonostante sei anni di lavoro in Italia, di cui quattro da regolare ma che di questi quattro non vedrà indietro nulla, perché essendo stato espulso, non ha diritto di chiedere alcuna liquidazione. L’amore è messo a dura prova. La distanza obbligata è ben diversa da una distanza (temporanea) scelta. Lucia non sa che fare, in un periodo difficile, davvero si può rischiare di perdere il lavoro? Passano così tre lunghi anni, anni nei quali i due sposi si vedono solo d’estate, perché lo stato italiano ha deciso che il loro amore è “irregolare”. Dopo tre anni di sofferenza e telefonate Lucia decide di lasciare il lavoro e a giugno partirà per il Senegal per raggiungere il marito tanto amato. Mamadou non ha lavoro e, adesso, nemmeno Lucia. L’unica cosa che resta è il Senegal, un paese che ancora rispetta i diritti della persona. Lì si può ancora amare, nonostante non si abbia il permesso di soggiorno; lì si può ancora sposarsi, nonostante non si abbia il permesso di soggiorno; lì un cittadino senegalese può essere ancora libero di vivere. Ma chi difenderà Lucia e tutte le altre donne o gli altri uomini di cui ogni giorno si sente parlare? Una migrazione Nord-Sud obbligata e amori a distanza, imprigionati, tranciati, mutilati da una legge ingiusta che calpesta i diritti delle persone. Questo dibattito, sì, sarebbe interessante postare.
Chiara Barison