Minime africane
di Daniele Mezzana
RUBRICHE. Si dice che il diavolo stia nei dettagli. I dettagli sono anche le inerzie del pensiero, le frasi di sicuro effetto, le riflessioni buttate lì con la certezza che saranno apprezzate per la loro gratificante ovvietà. Mi ha molto colpito un recente articolo di contenuto sportivo su Djibril Cisse, campione della Lazio.
Di nazionalità francese, con tutta evidenza di origine africana, specificamente ivoriana. L’articolo è stato pubblicato su “La Repubblica” dell’11 settembre, e lo riporto qui di seguito, seguito da qualche doverosa riga di commento.
Il volo dell’arcangelo Cisse. La Lazio scopre il suo leader
Un ivoriano a Roma. Alto, forte, veloce. Nero come può essere un ivoriano, anche se nato in Francia e di passaporto francese, rapido e potente come può essere un africano, anche se il calcio gli ha già presentato il conto due volte, però lui l’ha pagato e si è alzato da tavola sempre. Due volte si è sorpreso seduto su un campo di calcio, è la sua voce quella che urla di dolore ferendo il cielo, è sua la gamba che penzola orrendamente, con un’angolazione innaturale. Accade la prima volta nel 2004, la seconda nel 2006, alla vigilia dei Mondiali: frattura di tibia e perone della gamba sinistra nel 2004, stessa frattura ma alla gamba destra la seconda. Ma ogni volta Djibril Cisse ha ricominciato a correre, inventandosi un’altra vita. Un po’ meno potente e veloce di prima, forse. «La Bestia», lo chiama già Edy Reja. Il Leone Nero, il suo soprannome altrove. Djibril vuole dire Gabriele, Cisse si scrive senza accento né apostrofo, ha raccomandato lui, una vita che è già un piccolo romanzo, ben prima che l’Italia lo scoprisse con quel gol segnato venerdì sera, salendo sul tetto di San Siro, scherzando un certo Nesta e la difesa del Milan tutta. La Lazio ringrazia, e già sogna. Con lui e Klose, quasi 500 gol in carriera in due, si può andare chissà dove. Settimo di sette figli, un papà calciatore e nazionale ivoriano. Un fisico nato per correre e giocare al calcio. Un corpo interamente tatuato, come il Queequeg di Moby Dick, con accenni alla geografia della sua vita: sulla schiena ha stampato un enorme arcangelo Gabriele, in omaggio al suo nome e alla religione cattolica, che abbraccia da adulto dopo essere nato musulmano. Quattro figli da due donne diverse, la seconda è sua moglie e quando l’ha conosciuta faceva la parrucchiera in Galles: quando si sposano (in un castello) lui indossa un magnifico smoking rosso fiamma, rosso Liverpool che all’epoca è la sua squadra, infatti pochi giorni prima l’ha condotta alla vittoria in Champions contro il Milan, a Istanbul, segnando un rigore nel dramma finale. Nel Cheshire acquista una grande e antica residenza di campagna e diventa Lord of the Manor, Signore del Maniero di Frodsham. Ha avuto tutti i look possibili: barba, pizzo, barbetta disegnata nera oppure ossigenata, cresta bionda, cresta nera e intrecciata, capigliatura istoriata, rasatura completa. Della sua devastante passione per le auto si sa già, ne possiede 18, una decina le ha già fatte arrivare a Roma. Ha fatto il dj, ha avuto una particina in un film (il dimenticabile Taxxi 4) in cui interpreta se stesso. Non si nega neppure un arresto per tentata aggressione a una ballerina di lap dance, ma si sa come vanno certe cose se sei Cisse. Ora gioca e segna per la Lazio, dopo Auxerre, Liverpool, Marsiglia, Sunderland e Panathinaikos. Ad Auxerre il suo primo e unico maestro è stato Guy Roux, 44 anni sulla stessa panchina: «In Reja rivedo un po’ Roux, hanno gli stessi metodi all’antica però efficaci, è gente che crede nel lavoro, nel gruppo, gente che ti sgrida come farebbe un papà». Di gol, ne ha sempre fatti e sempre ne farà, li festeggia con capriole e salti mortali. Alla Lazio, se arriverà a quota 15 gli hanno promesso un bonus di 200.000 euro. Per quello che si è visto contro il Milan, li ha già in tasca. (andrea sorrentino)
Alt, un momento. Il primo impatto dell’articolo è ovviamente positivo: è un elogio, e il lettore (specie se tifoso) non può che esserne soddisfatto. Ma andiamo a vedere le doti di Cisse che vengono messe in evidenza: “alto, forte, veloce”, e poi “nero”, “rapido e potente come può essere un africano”. E poi ancora: “la Bestia”, il Leone nero”, “un fisico nato per correre…”, “un corpo interamente tatuato”, “quattro figli da due donne diverse”, e poi passioni, macchine, il look particolare, “la tentata aggressione a una ballerina di lap”… Cosa notate? Questo talentuoso giocatore (per cui io calcisticamente stravedo, sia chiaro) se si esclude il breve riferimento alla sua religione, viene descritto essenzialmente per la sua fisicità, per le sue doti istintuali, per le sue passioni. Mai anche per il cervello, per lo spirito di iniziativa, per la creatività, per la logica delle sue azioni (in campo o fuori). Se ci fate caso, questo corrisponde a una consolidata immagine dell’africano: l’immediatezza, la genuinità, la pura corporeità contro la razionalità e lo spirito geometrico dell’abitante del Nord del pianeta. Pari pari a quel che scrivevano i funzionari coloniali di cento anni fa. E pari pari a quel che scrivono ancora tanti giornalisti quando parlano di calcio, mescolando a sproposito evidenze, giudizi e stereotipi. Eppure Cisse, per fare i gol che fa, non può che avere anche una notevole intelligenza, un senso tattico fuori dal comune, una spiccata percezione strategica delle situazioni di gioco. Invece no: è africano, e quindi ciò che fa è “necessariamente” frutto di qualche istinto ancestrale, di una tropicale padronanza fisica, di una affascinante quanto minacciosa presenza muscolare. Desidero fortemente leggere un articolo sportivo in cui, di un africano, si lodi l’intelletto. Poi, con comodo, comincerò a chiudere questo blog. Chiedo scusa al giornalista in questione per il tono: diciamo che è stato solo un pretesto, niente di personale.
La foto di Djibril Cisse è tratta da: www.calciosport24.it