Il ventre del pitone

L.M. - 26 Ottobre 2011
Enzo Barnabà è uno storico e francesista che ha vissuto a lungo, tra l’altro, in Costa D’Avorio ed ha una spiccata curiosità e competenza sulle questioni africane. Il suo ultimo romanzo, “Il ventre del pitone” (editore EMI, 2010) è la storia di una ragazza nata in un villaggio ivoriano, Cunégonde (etimologicamente “colei che combatte per la stirpe”). In particolare, è la storia del suo percorso di iniziazione alla vita: da un’infanzia felice nel suo villaggio, al suo distacco da un padre che non merita lei e la madre, a una lunga odissea attraverso l’Africa Occidentale, fino a un agognato, ma difficile e tormentato, approdo in Italia, insieme al bimbo che nel frattempo ha dato alla luce.
“Il ventre del pitone” è una sorta di percorso guidato di consapevolezza sul vissuto dell’emigrazione dall’Africa. Una emigrazione vista “dal di dentro” e con gli occhi di una donna, appunto Cunégonde; un “io narrante” a cui Barnabà ha saputo dare grande plausibilità e sostanza. Il romanzo è, inoltre, un percorso guidato alla conoscenza di alcune fondamentali componenti della dimensione culturale africana. La componente dei miti, innanzitutto. Poi quella delle usanze, alcune delle quali richiamate e descritte con dovizia quasi etnografica, senza per questo appesantire la narrazione. Ai proverbi, inoltre, viene dato uno spazio particolare. A questo riguardo, il romanzo è una vera e propria miniera: viene citato un proverbio tradizionale almeno ogni 2-3 pagine, applicandolo a concrete situazioni in cui si trovano i protagonisti.
L’opera di Barnabà è anche una riflessione, a tratti amara, su alcuni effetti perversi della globalizzazione in Africa, e sulle sorti della tradizione, nel suo rapporto dialettico con la modernità. Ma alla resa dei conti, Barnabà ci consegna un personaggio che non intende arrendersi, e che – nonostante quel che scrive Serge Latouche nella prefazione – ci lascia (o almeno ha lasciato me) con la sensazione che Cunégonde e gli africani, in un modo o nell’altro, ce la faranno.
Daniele Mezzana