I migranti nella penisola

Dalle braccianti rumene che si prostituiscono di notte ai mendicanti di Roma: Jacopo Storni racconta "Sparategli!"

L.M. - 8 Dicembre 2011
Jacopo Storni è l’autore di “Sparategli” (Editori Riuniti), un reportage sulla condizione dei migranti nella penisola, dalle braccianti rumene che si prostituiscono di notte ai rifugiati dell’ex magazzino dell’ospedale Meyer. Lo abbiamo incontrato a margine del seminario di Redattore Sociale (25-27 novembre) a Capodarco e ci siamo fatti raccontare il suo libro.

Colloquio con Jacopo Storni, di Luigi Riccio

Hai detto che il tuo non è un libro di scoop ma un libro quasi sentimentale perché racconta di persone. Come cambiano gli immigrati a seconda di dove vivono in Italia, esiste un nord e sud per loro?
Dipende un po’ dalle situazioni, bene o male il dna della psicologia degli immigrati non si caratterizza a nord in modo e a sud in un altro. A firenze, per esempio, nell’ex magazzino dell’ospedale pediatrico Meyer ,che io chiamo le fogne di Firenze perché hanno i tetti tutti bassi e i rifugiati ci vivono dentro acquattati, sono andato lì e ho chiesto se avevano bisogno di qualcosa. Uno di questi, Abdifatah, di cui parlo nel libro, mi ha detto “ho bisogno di 500 euro”. “Ma a cosa ti servirebbero?”, gli ho chiesto e lui mi ha risposto “mi servono perché il mio sogno nel cassetto è comprare un biglietto aereo per la Somalia, perché preferisco morire in guerra nel mio paese accanto alla mia famiglia, piuttosto che di fame su di uno squallido marciapiede italiano”. E di questi ce n’è tanti, di persone che rimpiangono che sono partiti e che a volte non hanno soldi per tornare a casa. Questo è curioso. Perché poi non possono tornare come sono venuti, le rotte nord-sud non le batte nessuno.
Questa è una po’ la condizione dei rifugiati che arrivati in Italia non possono lavorare e vivono abbandonati.
Certo, e se ci parli e approfondisci un po’ la cosa ti rendi conto che sono tutte persone, africani in particolar modo, che hanno cercato di trovare una soluzione di vita più dignitosa, ma chi li prende? Ti immagini che uno assume un profugo somalo che spesso è anche analfabeta e non sa scrivere o leggere l’italiano?
Parlavo di “libro di emozioni” perché se alcune storie sono meno note tante però sono storie di tutti i giorni, storie di mendicanti che si vedono scorrere dai finestrini delle macchine o di prostitute che si vedono alla sera o di vu cumprà. Quello che ho voluto fare io con loro è da una parte liberare i loro sentimenti, le loro speranze, le loro aspettative, dall’altra di approfondire quello che c’è dietro a queste storie. Ad esempio ho pedinato per due o tre giorni un vu cumprà poi lui si è accorto che lo stavo seguendo ed è scappato. Volevo capire come viveva questo lavoro e risalire la filiera criminale per arrivare dall’ultimo anello, che è quello sulla strada, alla radice della produzione, ed ho scoperto cose interessanti. Perlomeno in Toscana e in una buona fetta di Italia dietro ci sono i cinesi e i napoletani, ma questi ultimi più al sud.
I cinesi che fanno, producono le merci che poi loro vendono per la strada?

I cinesi producono, importano direttamente i prodotti contraffatti dalla Cina oppure la contraffanno qua in questi magazzini-lager dove lavorano anche con i bambini. Spesso la guardia di finanza a Firenze o a Prato fa perquisizioni e sequestri di capannoni. Il singolo vu cumprà va dal capo maglia, che è sengalese, e che smista tutti i giubbotti o scarpe o cinture, il capo maglia prende i prodotti dai cinesi. Il mio sogno sarebbe stato vedere in prima persona quello che succedeva in questi scambi tra senegalesi e cinesi, ma non ci sono riuscito. Ci sarebbe voluto un anno solo per questa cosa. E quindi sono andato alla guardia di finanza di Firenze, Prato, Pisa e mi sono fatto spiegare un po’ come funzionava. Mi hanno detto che gli scambi avvengono di notte in periferie tra Prato e Firenze, il cinese arriva con la macchina di volata lasciando tutta la merce al senegalese, con la targa coperta. Quel che è interessante è che noi si vede tutti i giorni questa gente però poi sappiamo poco, si compra ignari di tutto, quando dietro c’è ci sono un giro di mafia pauroso.
Nel libro parli anche di donne e degli abusi che subiscono. 
Il capitolo più scioccante è quello sulla città di Vittoria, vicino Ragusa. Tutta la storia l’ha tirata fuori Don Beniamino Sacco e nacque quando un fattore andò da lui con una donna e gli disse “è incinta, se ne può occupare te?”. Il prete gli chiese di chi era incinta, e lui rispose che non lo sapeva. Don Beniamino, che è sveglio, ha detto se due più due fa quattro è stato il datore di lavoro, per mettersi la coscienza a posto l’ha portata da me, perché era sposato con figli… E da qui ha scoperchiato un vaso di pandora enorme perché nelle serre dove si coltivano gli ortaggi e ci lavorano le braccianti rumene sono centinaia quelle che di giorno lavorano e di notte, in cambio di un alloggio, che è fatiscente, e in cambio di un lavoro con una paga misera devono avere delle prestazioni sessuali.
Tu dicevi che non è un vero o proprio un abuso ma piuttosto una sudditanza. Perché?
Perché non hanno un lavoro, non hanno speranze e l’unico modo per lavorare è lavorare ma anche prostituirsi. Dipende da storia a storia, ma alcune sperano in qualcosa in più, non dico che si innamorano del datore di lavoro ma si innamorano della vita che potrebbero fare, e quindi uno finisce anche per accettare una realtà di sudditanza anche sessuale e lavorativa perché che le dà una parvenza di dignità. Finisce poi che ci sono delle conseguenze tangibili. Ai presidi ospedalieri di Ragusa e di Vittoria, è un andirivieni di rumene che vanno ad abortire. Io ho parlato con una di loro, Mihaela, con marito e figli in Romania, che si è accorta di essere incinta dopo il terzo mese e che quindi non poteva abortire. Mi ha raccontato che aveva finito per innamorarsi di questa vita, che si era illusa di questa persona che le aveva dato un lavoro, un alloggio, e quindi… Don Beniamino diceva che questo è un ritorno al medioevo, al feudalesimo più grezzo.
Nel libro chiami gli immigrati schiavi, perché?
E’ complesso il ragionamento. Lo schiavo esiste perché comunque ci sono dei datori di lavoro che li pagano due lire facendoli lavorare dodici ore al giorno, o come a Sabaudia dove ci sono dei datori di lavoro che pretendono che gli immigrati facciano due passi indietro e un inchino quando si presentano a loro, che li chiamano Bin Laden oppure terroristi o musulmani a

nche se non sono Bin Laden né terroristi tantomeno musulmani, perché sono indiani. Ci sono dei casi in cui c’è lo schiavo vero e proprio o i mendicanti che sono vittime del racket internazionale dell’elemosina parcheggiati ai semafori, dislocati in modo specifico dalla criminalità organizzata che li recluta in patria e li porta in occidente.

Una nazionalità in particolare di questi mendicanti?
Molti i rumeni.
Vengono reclutati per andare a fare l’elemosina?

Sì, e probabilmente lo sanno anche che in Italia vanno a fare l’elemosina, perché se no scapperebbero. Molti sono storpi, hanno le braccia amputate, sono disabili. Il racket dell’elemosina recluta quelli che stanno peggio, che suscitano più pietà.
Da cosa hai capito che dietro c’è un racket?

Ho fatto un capitolo su un mendicante ambientato a Roma. L’ho scoperto andando a parlare con il comandante della polizia municipale che si era accorto di una macchina di lusso che li portava lì tutte le mattine, e che si svestivano quando finivano il lavoro dagli stracci e si mettevano i jeans, la felpa e le scarpe, quando invece a chiedere l’elemosina erano scalzi.