Cie, agitare bene prima dell'uso

L.M. - 19 Febbraio 2012
Cosa sono i Cie. Chi ci viene rinchiuso e in quali condizioni. Come vengono gestite le strutture e a quale costo e utilità. Questi le tematiche del corso gratuito rivolto ai giornalisti della campagna LasciateCIEntrare. Dopo Roma, ieri Bologna. Domani Trapani, prossimamente a Milano
di Luigi Riccio
L’INCONTRO. Rompere il muro del silenzio, offrire un’adeguata formazione ai giornalisti che decidono di raccontare cosa sono i Cie, in quale modo sono gestiti, a cosa servono e quali condizioni di vita impongono ai migranti che vi sono reclusi. Questo è l’obiettivo della serie di corsi (Cie e Cara – Istruzioni per l’uso?) organizzati dalla campagna LasciateCIEntrare, campagna nata dopo la circolare 1305 dell’allora ministro Maroni revocata dalla nuova titolare degli Interni Cancellieri.
Si è partiti con un primo incontro a Roma, ieri è stata la volta di Bologna, il 20 sarà a Trapani, in via di definizione l’incontro di Milano.
COS’E’ UN CIE. Il Cie è “un posteggio per immigrati espulsi in attesa di essere rimandati nei paesi di origine, se non é possibile l’accompagnamento coatto e immediato, ma meno della metà delle persone recluse viene poi effettivamente espulso” sintetizza Alessandra Ballerini all’incontro di Bologna, avvocato di Terres Des Hommes e Asgi. Un posteggio “promiscuo”, al cui interno si possono trovare minori, comunitari, donne vittime di tratta, migranti in Italia da decenni, ex carcerati, malati. E che, appunto, non garantisce l’effettiva espulsione, essendo questa subordinata agli accordi vigenti tra l’Italia e i paesi di origine dei migranti.
All’interno ci finisce chi è trovato senza il permesso di soggiorno, chi commette un reato seppure abbia già pagato il suo conto alla giustizia, per una durata massima di 18 mesi. Un’espulsione immediata, organizzata al momento della scoperta “dell’irregolare”, sarebbe costosa, 10.000 euro a testa, e raramente viene praticata.
IL PARADOSSO. Il paradosso è però che all’interno di un Cie ci finisce chi è già stato identificato, chi non può essere espulso, chi nel nostro paese vive da decenni. Succede così di vedere uomini provenienti dal carcere, per cui il Cie si trasforma in un’estensione della pena. Succede così di trovarci un malato di tumore in condizioni gravissime, poiché il giudice “non è un medico” e se ne lava le mani. Succede così di vedere bambini, minori, seppure l’art. 19 del testo unico sull’immigrazione li consideri inespellibili. Succede così che in periodo di crisi, nonostante la bassissima efficacia di questi centri, vengano stanziati 17,7 milioni di euro per riaprire i Cie di Santa Maria Capua Vetere (CE) e Palazzo San Gervasio (PZ) con un’ordinanza pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dello scorso 28 gennaio.
SE L’IDENTIFICAZIONE E L’ESPULSIONE E’ IMPOSSIBILE. Dopo i 18 mesi di trattenimento, se l’identificazione non avviene e l’espulsione è impossibile, l’immigrato viene rilasciato con un “foglio di via” in cui gli si intima di lasciare il territorio nazionale in sette giorni. Se l’immigrato non rispetta l’ordine e viene di nuovo scovato è rinchiuso in un Cie per altri 18 mesi, al termine dei quali si ritrova in mano un altro “foglio di via”, e così in eterno. 
TRASPARENZA. E’ quella che manca nella gestione dei centri per migranti, affidata a cooperative, consorzi privati. Sapere quanto costa un trattenuto alla collettività è un po’ come mendicare l’elemosina all’incrocio di un semaforo. “Non si può non parlare di business” denuncia Alessandra Ballerini, che ricorda come il ministero dell’Interno, da sempre, si rifiuti di rilasciare cifre ufficiali. Ciò che sappiamo, quindi, è quello che ci dice il Dossier Caritas: 45 euro al giorno per trattenuto. Ma sono cifre ufficiose, presunte, di ufficiali non ce ne sono.
GLI INTERVENTI. All’incontro di Bologna era presente anche Nazzarena Zorzella dell’ASGI di Bologna, che ha commentato la vigente legislazione sull’immigrazione come un “circolo vizioso dove le persone vengono rese irregolari e poi rinchiuse in un Cie” dando vita ad una vera e propria “fabbricazione di clandestinità”. Andrea Ronchi, avvocato CGIL, ha spiegato come avviene un’udienza di convalida, procedura asettica in cui il trattenimento dei migranti è quasi sempre confermato, a meno che non si riscontrino errori nelle procedure o malattie infettive (per le malattie in generale si può invece essere trattenuti). La deputata Pd Sandra Zampa ha denunciato lo stato del Cie di Bologna, nonché la scomparsa di 900 minori non accompagnati dal territorio nazionale. Ha inoltre dichiarato che “il governo Monti deve rivedere la durata di 18 mesi nei Cie”. Presenti all’incontro anche Filippo Miraglia dell’Arci, che ha spiegato gli obiettivi dell’associazione Carta di Roma, l’attuazione dell’omonimo protocollo deontologico della professione giornalistica riguardante richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti. Infine Carla Martini, dell’associazione Sos Donne che opera all’interno del Cie di Bologna. 
La campagna LasciateCIEntrare, nata nel 2011 come segno di protesta contro la circolare 1305 e sostenuta dalla FNSI e dell’Ordine dei giornalisti, sarà a Trapani il 20 febbraio (per info: raffaella.cosentino@gmail.com) e prossimamente a Milano. Lo scopo della campagna, secondo le parole della coordinatrice Gabriella Guido, è “quello di alzare un velo” su queste strutture, ambigue e difficilmente penetrabili, luoghi dove i migranti entrano come “ospiti” ma in cui diventano detenuti, privi pure delle tutele del sistema penitenziario.

Nella foto: Cie di Ponte Galeria, Roma