Visita nel Cie di Gradisca d'Isonzo

L.M. - 14 Maggio 2012
Visita nel Cie di Gradisca d’Isonzo, il secondo per grandezza in Italia. All’interno ci sono solo 24 “ospiti” ma costano alle tasche dello Stato come se fossero 123. La Procura di Gorizia sta indagando sia l’ente gestore che la prefettura per presunte non conformità delle fatture e forniture SERVIZIO TG3
CIE. “Mi hanno preso mentre ero a fare la spesa, ero senza permesso di soggiorno, così sono finito qua”, racconta Mohammed, 29 anni, in Italia dal 1998 e trattenuto nel Centro di Identificazione ed Espulsione di Gradisca d’Isonzo da cinque mesi.

“Non ho nessuna intenzione di tornare in Marocco, perché tutta la mia famiglia è a Rimini. Ho lavorato per otto anni in Italia e non sono mai stato in carcere, il mio unico reato è non avere un contratto di lavoro”.

Mohammed è uno dei 24 “ospiti” attualmente presenti nel Cie di Gradisca, provincia di Gorizia. Questo è il secondo Cie d’Italia per grandezza, dopo quello di Ponte Galeria a Roma, con una capienza di 248 posti. Per la prima volta dal 2008, venerdì 11 maggio sono entrati di nuovo nella struttura giornalisti, fotografi e una troupe del Tg3, grazie alla campagna LasciateCIEntrare, lanciata a luglio dell’anno scorso anche dalla Fnsi.
Il Cie è gestito dalla cooperativa di Trapani Connecting people tramite una convenzione con la Prefettura e attualmente costa allo Stato 5.166 euro al giorno. Il contratto infatti prevede che, se il Cie è occupato per meno del 50% della sua capienza, il rimborso è pari al costo della struttura con 123 persone. La Procura di Gorizia tra l’altro sta indagando sia l’ente gestore Connecting people sia la Prefettura per la presunta non conformità delle fatture e forniture rispetto al numero degli ospiti.
Abdel ha 48 anni ed è in Italia da 25. La sua famiglia è già tornata in Marocco per la crisi e ora ci tornerà anche lui: “Ero a Padova e dal 18 gennaio mi hanno portato al Cie. Adesso però non ce la faccio più, ho chiesto di essere rimpatriato. Qui non si vive, non abbiamo niente, con questo caldo non ci danno nemmeno le lenzuola, abbiamo solo una coperta puzzolente. Io sono anche stato in carcere, ma ho scontato la mia pena e sono tornato a essere un uomo libero”.
L’Ufficio Immigrazione afferma che il periodo medio di permanenza nel Cie di Gradisca va da due a tre mesi e nell’ultimo periodo sono aumentate le richieste di rimpatrio assistito, da quando l’ex Ministro degli Interni Maroni ha prolungato a 18 mesi il periodo massimo di permanenza nei centri. Dall’apertura del Cie di Gradisca sono state rimpatriate circa 1.500 persone, mentre chi non viene identificato anche dopo 18 mesi riceve un invito ad allontanarsi da solo dal territorio nazionale.
Il Rapporto carceri della Commissione Diritti Umani del Senato, datato marzo 2012, a proposito dell’allungamento dei tempi di trattenimento sottolinea che le condizioni di vita nei centri sono precarie e inadatte ad un soggiorno prolungato: “vista l’incertezza dei tempi per l’accertamento delle generalità e dell’espulsione, si tratta di una detenzione amministrativa cui manca un adeguato sistema di garanzie di rispetto dei diritti dei soggetti trattenuti e adeguate condizioni di trattenimento per quanto riguarda strutture e servizi”.
“Ti chiamano con un numero, come in un campo di concentramento”, afferma Mohammed, anche lui dice di chiamarsi così, ed è senegalese, “eppure io non sono un delinquente, sono qui solo perché mi hanno trovato senza documenti. Vorrei giustizia, perché siamo esseri umani, ma veniamo trattati peggio dei cani. Le forze dell’ordine fanno il loro lavoro, i problemi stanno più in alto, arrivano da chi prende le decisioni”. Continua Mohammed: “Stai qui dentro e ti viene voglia di suicidarti, o di prendertela con qualcuno che non c’entra niente. Ho chiesto almeno di avere un libro, giusto per far passare il tempo, ma non ci danno nemmeno quello. Ieri sera uno di noi stava male, abbiamo suonato al citofono e ci hanno risposto dopo un’ora e mezza”. A causa delle frequenti rivolte nei Cie non è consentito tenere con sé né accendini né cellulari. Ci si fa accendere le sigarette dagli operatori e per telefonare bisogna fare richiesta, per evitare che vengano programmate rivolte simultanee nei centri in tutta Italia.
Il Dossier statistico immigrazione 2011 evidenzia come i rimpatri degli stranieri dai Cie abbiano un peso irrisorio nel combattere l’irregolarità: i 7.039 stranieri che sono passati in uno dei centri nel 2010 rappresentano l’1,2% dell’oltre mezzo milione di sans papiers stimati dall’Ismu. Di questi, solo 3.399 sono stati effettivamente rimpatriati.
Testo e foto di Elisa Cozzarini