Immigrazione, scrivere in positivo

L.M. - 1 Luglio 2012
Una guida per i media: come comunicare in modo corretto e obiettivo il fenomeno dell’immigrazione
IL LIBRO. Ragionare invece di strillare, informare anziché allarmare. Lo chiedevamo ai giornalisti stranieri noi italiani quando emigravamo in massa, lo domandano oggi a noi gli immigrati. E’ poco, è molto. «Comunicare l’immigrazione» – sottotitolo «Guida pratica per gli operatori dell’informazione» – mira a questo obiettivo.
E’ uscito a febbraio grazie al lavoro della cooperativa bolognese Lai-momo (editrice della rivista «Africa e Mediterraneo») e del Centro studi e ricerche Idos, lo stesso che prepara ogni anno il fondamentale «Dossier statistico immigrazione». A sostenerlo due ministeri (Lavoro e Interno) con il finanziamento del Fondo europeo per l’integrazione di cittadini dei Paesi terzi.
Un manuale che riprende le avvertenze date dall’Ordine dei giornalisti e dalla Fnsi con la «Carta di Roma» del 2008 che infatti è spesso citata. Parlare in positivo è la raccomandazione dell’Unione Europea e di altre organizzazioni internazionali. Ed è lo spirito che anima il volume perché, come precisa Natale Forlani (direttore generale dell’Immigrazione e delle politiche di integrazione presso il ministero del Lavoro) «appare necessario garantire un’informazione obiettiva e priva di stereotipi e pregiudizi». Dopo l’introduzione e una sitografia ragionata, il volume (160 pagine, colorate e illustrate) si divide in 6 sezioni.
Si apre con lo scenario migratorio poi il quadro legislativo e una sintesi comparata degli immigrati in Europa. Il quinto capitolo presenta una galleria di casi riusciti di integrazione, infine il glossario con una cinquantina di voci. Il quarto capitolo offre una breve ricostruzione su «i media italiani e l’immigrazione» ed è ovviamente quello che qui più ci interessa. Secondo una ricerca del 2010, resa nota proprio dall’Osservatorio sulla «Carta di Roma» il quadro d’insieme è questo: si parla di migranti al 52,8 per cento in articoli di cronaca nera o giudiziaria; al 34% in relazione al dibattito normativo; al 5,3 quando ci sono sbarchi; al 7.9 per questioni legate a cultura e temi connessi al migrare.
Secondo Mario Morcellini (preside di Scienze della comunicazione a La Sapienza di Roma) è un’ immagine congelata del fenomeno. In tv è peggio: la cronaca nera sale al 58,7%. «I giornalisti contribuiscono a una gigantografia della paura per la quale l’immigrato resta legato alla criminalità» spiega Morcellini. Il capitolo approfondisce anche le «buone notizie», le linee guida (della «Carta di Roma») per un’informazione corretta e ricostruisce come le migrazioni sono state narrate da tv, radio e carta stampata (anche con interessanti esperienze locali), il ruolo di alcuni osservatori sui media, la nascita dei media multiculturali e dell’Ansi – Associazione nazionale stampa interculturale – con un accenno alle scritture migranti e uno sguardo sui nuovi media soprattutto in rapporto alle cosiddette G-2 (seconde generazioni che però preferiscono definirsi «nuovi italiani» visto che i figli di immigrati nascono o crescono qui) per chiudere con una sintetica bibliografia-filmografia.
Un capitolo ricco di informazioni ma ovviamente in 20 pagine molto resta fuori. Anche perché intorno alla rappresentazione giornalistica delle persone migranti si aggrovigliano questioni strategiche. I siglomani potrebbero parlare del nodo “Mirmix”: migrazioni, intercultura, razzismi, meticciato, identità, xenofobia. Temi diversi ma evidentemente intrecciati con la cronaca nera come con i diritti, l’economia, la scuola, la politica, il diffuso malessere sociale… Questioni complesse che richiederebbero inchieste e ragionamenti invece di slogan e titoli “sparati”. Su molti media italiani le cronache sono ansiogene quando parlano di migranti mentre le pagine culturali o di costume sono rilassate (w la cucina etnica, w le treccine rasta, w la musica meticcia, w lo sport “colorato”). A volte girando pagina si rischia quasi un effetto schizofrenico. Ma si sa che le cronache giocano un ruolo predominante nell’opinione pubblica. Fra gli sguardi meno banali valeva forse sottolineare l’intelligente eccezione di “Italieni” sulla rivista “Internazionale”: è una testatina ironica con la quale il settimanale racconta il nostro Paese visto da fuori ma con questa dizione sono state etichettate anche le pagine affidate a giornalisti di origini straniere che vivono in Italia. Non necessariamente gli articoli erano attinenti allo specifico della migrazione ma questo particolare sguardo favoriva comunicazioni e scambi culturali meno ristretti del consueto.
Egualmente era utile evidenziare che alcuni recenti documenti – ripresi anche dalla nostra rivista – hanno chiesto che «i media rispettino il popolo rom»; a volte i cosiddetti nomadi sono in Italia da decine o centinaia di anni eppure vengano considerati eterni stranieri. Chi si sente italiano ma curioso del mondo potrebbe prendere per biglietto da visita la frase (in un box, anzi in una “orecchietta” del libro) dello storico Joseph Ki-Zerbo: «Quando si è profondamente radicati si è pronti a tutte le aperture, porosi a tutti i soffi del mondo».
Daniele Barbieri
(*) Questo articolo è uscito sul numero 82 (aprile 2012) del trimestrale «Giornalisti» edito dall’Ordine giornalisti dell’Emilia-Romagna.