Migranti, un modello di integrazione ucciso dai tagli della Protezione civile

L.M. - 27 Luglio 2012
A Riace, Caulonia e Aquaformosa 250 rifugiati sono alla disperazione nonostante la solidarietà dei comuni
In una terra difficile hanno costruito giorno dopo giorno un’esperienza unica. Un modello di accoglienza basato sulla solidarietà: trasformare i richiedenti asilo, i rifugiati, da «problema» in risorsa all’interno di un possibile progetto di integrazione. E hanno dimostrato nei fatti che un’altra politica migratoria è possibile. A Riace e a Caulonia, ma anche ad Acquaformosa, Benestare e Camini, i migranti non sono reclusi nei Cie o nei Cara, ma vanno a scuola, giocano a pallone, si ritrovano tra di loro, frequentano le strade e le piazze, parlano con tutti.
Quando riescono, lavorano. Non sono ingabbiati come carcerati in fortezze sorvegliate. Costano alla comunità meno della metà di un immigrato «detenuto» in centro. Qualcuno però vuol mettere in crisi questa utopia realizzata.
«Un anno fa, in seguito all’emergenza Nord Africa, lo Stato ci ha chiesto di ospitare dei disperati che scappavano dalla guerra e dalla fame – spiega Ilario Ammendolia, già sindaco di Caulonia – e noi l’abbiamo fatto obbedendo ad un moto spontaneo di solidarietà. Abbiamo aperto le nostre case e i nostri paesi a questi ragazzi in fuga. Abbiamo firmato una regolare convezione con la Protezione civile e circa duecentocinquanta immigrati sono arrivati». Da quasi un anno però la Protezione civile non sborsa un solo euro. Chiunque può capire che un numero così elevato di immigrati non può mantenersi sulla sola solidarietà dei volontari. Hanno cominciato a tagliare la corrente elettrica dalle case, molte farmacie non fanno più credito, così come i negozi di generi di prima necessità.
«Un modello di accoglienza come il nostro che in altre realtà sarebbe stato un fiore all’occhiello, qui da noi si lavora per distruggerlo». A Caulonia sono rimaste due famiglie palestinesi, prelevate dal deserto da un aereo del Viminale e trasferite nella Locride, tra cui tre anziani compresa una signora completamente cieca e tre bambini di cui, la più piccola, nata a Caulonia. Oggi sono stati rimossi e rimpatriati. Una visione burocratica del problema li ha semplicemente cancellati. Per protestare contro questa situazione insostenibile, il sindaco di Riace, Mimmo Lucano, ha iniziato dal 18 luglio uno sciopero della fame insieme ad Ammendolia, al sindaco di Acquaformosa (borgo cosentino celebre per essere il primo comune «deleghistizzato» in Italia) Giovanni Mannoccio, all’ex sindaco di Rosarno, Peppe Lavorato, e all’attivista antirazzista, Giovanni Maiolo.
L’Assopace di Milano ha aperto un conto e una raccolta fondi per rompere il muro di indifferenza, e decine di attestati di solidarietà sono arrivati da cooperative, realtà di base, sindaci, organizzazioni politiche e sindacali, semplici cittadini. Tace invece il ministro dell’Immigrazione, Andrea Riccardi, sebbene sia a conoscenza dell’emergenza migranti in Calabria. E tace Franco Gabrielli, capo della Protezione civile. E così una mancata firma (del decreto di liquidazione) rischia di ridurre alla fame centinaia di migranti, danneggiando l’economia di interi paesi. Perchè a queste latitudini anche la burocrazia a volte può uccidere. Non solo la ‘ndrangheta.
Silvio Messinetti

Fonte: Il Manifesto