Milano

Gente di Dublino

Rosa Maria Vitale - 24 Marzo 2013

Lo scalo di Porta Romana, uno dei centri informali di non accoglienza più noto in città, è stato evacuato il 19 marzo. Tra gli sgomberati molti dubliners.

Sudan, Eritrea, Etiopia, Somalia: la maggior parte degli sgomberati proviene da questi paesi. E sono stati portati al Centro Aiuto Stazione Centrale, dove operiamo noi Medici Volontari Italiani. Ci aspettavamo un centinaio di persone. Invece, ad arrivare con un autobus scortato dalla polizia, sono stati 35. Gli altri, mi spiega Ismael, avendo saputo dello sgombero, sono andati via con le proprie gambe, il giorno prima. 
Sono comunque un bel numero: metà della sala d’attesa del Centro di aiuto è occupata dai loro bagagli, borse, sacche, zaini, sacchetti della spesa… Tutta la loro vita è in quei pochi bagagli.
 Molti di loro sono in Italia da parecchi anni. Ci si aspetterebe che parlassero la lingua, ma spesso non è così.

La maggior parte ha lo status di rifugiato ed è titolare di un permesso di soggiorno di tipo umanitario o sussidiario o politico. In teoria dovrebbero essere tutelati. Fakdun per esempio, Etiope, subito dopo aver avuto il permesso di soggiorno, due anni fa, ha sfidato la convenzione di Dublino ed è andato in Inghilterra, dove aveva trovato lavoro e casa. Ma al primo impatto con la polizia inglese è stato rimandato in Italia ed ora non ha più alcun punto di riferimento nel nostro paese, avendo comunque già usufruito a suo tempo dell’accoglienza di 10 mesi in un centro Sprar. Altri sei hanno fatto lo stesso percorso, sono andati in altro paese europeo e poi sono stati rinviati in Italia. Faisal, dal Sudan, ingegnere informatico, ha vissuto in Olanda 5 anni, prima di essere rimandato in Italia.
 Le storie si ripetono, quasi tutte uguali. Molti rientrano nell’Emergenza Nord Africa. Sono arrivati dalla Libia, dove per anni avevano comunque avuto modo di lavorare e si sono ritrovati sulla strada, senza mezzi, senza casa, senza amici a cui chiedere aiuto. Per qualche tempo saranno accolti in uno dei dormitori della città. Poi non si sa.

Da anni lo scalo di Porta Romana è la casa-rifugio di immigrati, di tutti i tipi. Anche nella loro rete informale è un indirizzo a cui rivolgersi, nelle situazioni estreme. Lo sanno perfino i ragazzini provenienti dall’Afghanistan e dal Pakistan. Il Naga, associazione di volontariato laica e apartitica, che offre consulenza legale e assistenza sanitaria a chi non ha i documenti, chiede «un’accoglienza adeguata per tutti i cittadini stranieri sgomberati» e avvisa che «continuerà a monitorare la situazione nelle prossime ore e si augura di non dover più intervenire, nella città più ricca d’Italia, a sostegno di cittadini stranieri costretti a vivere in aree infestate da insetti, topi, senza alcun servizio igienico e senza soluzioni alternative percorribili e stabili». In realtà l’idoneità alla vita di comunità è stata confermata per tutti e 35. Infatti, tutti loro – o quasi – avevano usufruito di una qualche protezione per un periodo oscillante tra l’uno e i due anni. Il fatto di ritrovarli a Porta Romana, intrappolati in uno sgombero annunciato, può voler dire solo una cosa: che le misure di tutela messe in campo non sono sufficienti, che il sistema Dublino, invece di produrre asilo, alimenta esclusione, che la complessa questione della protezione umanitaria non può più essere elusa.

Rosamaria Vitale