Docu-film

Le città invisibili

- 26 Maggio 2013

Raccontare la quotidianità delle comunità africane sparse per il mondo. Il progetto di Giampaolo e Beatrice.

«La nostra casa è il mondo intero», dice Hassan mentre si tocca il cappello di lana blu che ha appena appuntato sulla testa. Nato in Danimarca da genitori Somali, da qualche anno vive a Cardiff, nel quartiere che ospita la più antica comunità Somala del Regno Unito. «Butetown è una gemma, un paesino dove tutti conoscono tutti». Hassan quasi non nota la telecamera che lo sta filmando mentre parla con Beatrice Kabutakapua, giornalista Italo-Congolese che dal 2011 investiga sulle comunità africane sparse nel mondo. A portare in video la testimonianza del poeta somalo c’è Gianpaolo Bucci.
Alla fine della chiacchierata, Hassan ringrazia ma rimane seduto, le spalle rivolte al bancone del bar dove un ragazzo magrolino sta servendo del tè. Aggiunge: «Mi piace davvero l’idea del vostro progetto, per questo ho deciso di parlare con voi. Mi son sentito il tipo di persona di cui parlate in (In)Visible Cities».

(In)Visible Cities nasce nel momento in cui Gianpaolo e Beatrice si incontrano e decidono di trasformare le ricerche fatte fino ad allora in un’investigazione pluriennale che prenderà la forma di 12 documentari, 12 articoli, un lungometraggio e un sito web multimediale. Tutti questi prodotti aiuteranno a diffondere una cultura della diversità, e a combattere l’immagine stereotipata e ignorante che molti hanno del migrante africano. In fondo, tutti sono stati un po’ migranti.
Il modo migliore di procedere è lasciar parlare persone come Hassan. Da un punto di vista giornalistico, l’intervista convenzionale svanisce per lasciare spazio a uno stile più intimo e personale. Si sente la voglia di storie vere, narrate in prima persona dai protagonisti e non mediate: questo viene offerto al pubblico.
Un esempio lampante è quello di Maher. Complice l’invitante profumo pungente ed esotico che inondava le stanze o il karkadè offerto a inizio chiacchierata; Maher ha raccontato la sua storia di padre single. Arrivato dal Sudan, ha iniziato a peregrinare come marinaio. Dopo essersi fermato in Scandinavia, Danimarca e Londra, è approdato a Butetown: un luogo che, come lui ricorda, veniva considerato “difficile”. Lui stesso non era affascinato dalle schiere di case popolari nel quartiere, come anche dalla possibilità di conoscere tutti i suoi vicini. Ma a Butetown ci è andato per i due figli adolescenti, che avevano già amici nel quartiere.

Di storie se ne potrebbero raccontare tante altre. Sia a Cardiff che nel resto del mondo. Per questo dal primo maggio Beatrice e Gianpaolo sono a Los Angeles presso l’18th Street Arts Center. Qui mostreranno in anteprima il materiale raccolto a Cardiff e continueranno a scovare storie delle comunità dell’Africa Subsahariana, in particolar modo della Nigeria, l’Etiopia e il Ghana, i gruppi più numerosi nella città del cinema.
La prossima tappa di (In)Visible Cities sarà Istanbul a Settembre. Per tenersi sempre aggiornati, basta seguire la pagina Facebook del progetto.