Se ne andava il 5 giugno di 10 anni fa una figura imprescindibile dell’antirazzismo italiano. Un grande combattente. Una persona rara.
Dino Frisullo era barese di nascita, perugino e romano di adozione, ma di fatto era una testa in perenne movimento. A Roma cominciò a distinguersi durante la prima intifada, nel 1987, avviando un gruppo di cooperazione dal basso con le popolazioni palestinesi. Aveva tirato su un comitato di volontari che assunse l’evocativo nome di Al Ard, La terra. In contemporanea cominciò ad occuparsi di immigrazione, un tema allora decisamente poco praticato, da politica, istituzioni e non solo. In un grande pastificio abbandonato, La Pantanella, avevano trovato rifugio migranti e rifugiati provenienti da ogni parte del pianeta. Tantissimi, in alcuni momenti anche 2.500 persone. C’era chi parlava di “inferno e paradiso”: inferno per le condizioni di vita e di disagio, paradiso per quel clima di solidarietà e di aiuto reciproco che – non sempre ad onor del vero – si riusciva a creare all’interno di quel complesso microcosmo. Oltre a Frisullo, ad occuparsi degli ospiti della Pantanella, c’era monsignor Luigi Di Liegro, della Caritas. Quell’impegno portò ad un risultato concreto sul piano politico: la “sanatoria” legata alla cosiddetta legge Martelli (1990), la seconda dopo quella del 1986. Questa prima battaglia, per giungere ad una migliore accoglienza dei nuovi abitanti di una Roma che si affacciava ai fenomeni migratori, durò a lungo, fino al 31 gennaio 1991 con lo sgombero forzato degli ultimi inquilini della Pantanella.
Ma di lavoro da fare ne restava tanto, a Roma come nel resto del paese: sulle coste adriatiche, ad accogliere albanesi e kurdi in fuga: i primi da uno stato in rotta, i secondi da una oppressione mai terminata. A questo scopo nacque l’associazione Senzaconfine, di cui Frisullo divenne segretario e principale animatore. Associazioni, movimento e piazze in rivolta ma anche un rapporto paritario e non subalterno con le istituzioni, tanto da portare alla proposta di un Patto per un parlamento antirazzista, che si tradusse in una collaborazione fra parlamentari di diversi schieramenti politici e associazioni, allo scopo di promuovere leggi adeguate ad una società che cambiava sotto gli occhi. Ma Frisullo, all’occerenza, si mostrava capace di gesti estremi, come lo sciopero della fame, nel 1995, a sostegno di una sanatoria che fu poi solo in parte approvata con l’allora “decreto Dini”.
Poi ci furono le mobilitazioni legate all’elaborazione di quello che sarebbe stato il primo testo unico in materia di immigrazione, la legge Turco-Napolitano e le contestazioni (così indignate e così ignare del peggio che era da venire) rispetto ai Centri di Permanenza Temporanea, l’ennesimo sciopero della fame e la Carovana dei diritti dei migranti, realizzata partendo dalla camera del lavoro di Brescia per far sbloccare permessi di soggiorno previsti dalla sanatoria ma non rilasciati.
Seguire i suoi ritmi di lavoro era impossibile, lo si incontrava ovunque e sempre con nuove idee in testa, di quelle impraticabili a prima vista ma che poi si rivelavano assolutamente necessarie. Precorse i tempi quando cominciò a raccogliere firme per il diritto di voto ai migranti, la riforma delle norme per l’accesso alla cittadinanza, il trasferimento agli enti locali delle pratiche relative ai permessi di soggiorno: questioni che oggi si presentano ancora attuali e che lui aveva già “visto” con anni di anticipo.
Ma Dino Frisullo è stato anche un magnifico giornalista di inchiesta, un “giornalista militante”. Fu il primo a parlare del naufragio di Natale ‘96 e di quella che a lungo rimase la “nave fantasma”, il motopeschereccio Johann, in cui perirono 283 migranti, la più grande tragedia marina dalla Seconda guerra mondiale ad oggi. Non si volle per molto tempo credere a quel naufragio, come non si volle credere alle responsabilità italiane nell’affondamento della Kater i Rades proveniente dall’Albania e speronata dalla corvetta della marina militare italiana il 28 marzo del 1997 (108 le vittime). E intanto gli articoli di Dino Frisullo, pubblicati su Manifesto, Liberazione, Narcomafie, raccontavano con forza e rigore la storia che si cercava di rimuovere.
Aveva da tempo intanto sposato la causa kurda, e quando le carrette del mare cariche di profughi in fuga da una Turchia in piena guerra attraccavano alle coste calabresi e quando i rifugiati cercavano rifugio presso gli abitanti di piccoli paesi come Badolato, molti di loro conoscevano una sola parola di italiano, Freezullo. Aveva già fondato in proposito nel 1997 l’associazione Azad per la libertà del popolo kurdo, nello stesso anno organizzò il Treno della pace, un tentativo di interposizione per sfidare il governo turco e far conoscere la violazione dei diritti umani contro le minoranze. In quell’occasione venne malmenato dalla polizia locale, l’anno successivo, durante il Newroz, (il capodanno kurdo che cade il 21 marzo) venne arrestato e tenuto nelle carceri turche per oltre due mesi. Ma il suo arresto, accompagnato da imbarazzo diplomatico italiano e manifestazioni in tutto il Paese, ebbe il merito di far conoscere i dettagli di una “guerra sporca”. Ancora fra i militanti e rifugiati kurdi si racconta di come Frisullo venne arrestato perché aveva osato impedire la cattura e il pestaggio di un bambino.
Parallelamente continuava, senza sosta, il suo impegno antirazzista, giornate che duravano venti ore impastate di caffè e di sigarette, di nottate passate in questura per cercare di impedire le espulsioni dopo le retate e dopo riunioni interminabili.
Lavorare con Dino Frisullo a volte era semplicemente impossibile, per ritmi, per modalità, per impennate, ma con lui è maturata una generazione consapevolmente e irriducibilmente convinta della necessità di costruire un altro mondo. Il giorno in cui se ne è andato, dopo una dolorosa malattia a cui non voleva arrendersi, un pezzo sano di Paese si è fermato e ha pianto.
Oggi resta l’associazione Senzaconfine, portata avanti con testardaggine e coerenza, resta una memoria diffusa che a volte sfocia nella nostalgia e nel senso di mancanza, resta una targa affissa, dopo anni di battaglie con il comune, di fronte ad uno spazio (Ararat) ancora occupato da rifugiati kurdi. Una targa con la scritta: “Largo Dino Frisullo, pacifista e difensore dei diritti umani”.
Stefano Galieni