Rapporto Ediesse

I diritti al tempo dell'austerity

- 9 Giugno 2013

A partire dal carcere, ecco come stanno saltando uno ad uno. Soprattutto sulla pelle dei migranti. Presentato il rapporto annuale della Società Informazione.

«Gli stranieri in carcere costituiscono una componente consistente della popolazione detenuta e detengono molti “primati” allarmanti: sono i più giovani fra i detenuti suicidi, sono i più a lungo trattenuti, sono quelli a cui vengono più raramente accordate misure alternative e messi più spesso in custodia cautelare, sono i più “trasferiti” da un istituto all’altro, i più osteggiati a richieste di misure domiciliari perché spesso privi di residenza in Italia. Sono anche i meno numerosi ad accedere ai programmi di formazione e istruzione all’interno del carcere». Si apre a caso l’enorme Rapporto sui diritti globali del 2013, curato dall’associazione Società Informazione, pubblicato da Ediesse e promosso dalla Cgil, con la partecipazione delle più importanti realtà italiane che si occupano di diritti, e ci si imbatte in questioni, gravi e urgenti inerenti l’immigrazione. Sempre dal “fronte carcere” risulta che nel 2012 circa 4.500 detenuti stranieri abbiano compiuto atti di autolesionismo a fronte di 2.814 fra gli italiani. Ovviamente nel testo ci si sofferma anche molto sulla detenzione amministrativa, i Cie, prendendo come elementi di riferimento il rapporto sui diritti umani prodotto dal Senato, nonché le critiche e le proposte dell’Asgi.
Il rapporto di quest’anno ha però come sottotitolo Il mondo al tempo dell’austerity. Nell’introduzione al volume, Sergio Segio, della Società Informazione, cita Joseph Stiglitz: «L’austerità è una condanna a morte per i poveri». È il concetto che attraversa l’intero volume, supportato da dati, storie, fatti, proposte, denunce e analisi, e che restituisce una visione cupa del Paese. Ci troviamo di fronte a una rassegna di orrori e veri vulnus democratici. Le questioni inerenti l’immigrazione, in un modo o in un altro, emergono in ogni capitolo, come cartina di tornasole del mondo che si va costruendo. Qualche esempio: in Italia è attivo l’Unar (Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali) che nel 2011 riceveva per la sua attività circa 3,4 milioni di euro e impiegava 15 operatori. Con la spending review si è deciso che la lotta al razzismo non ha bisogno di studi, denunce, strumenti e risorse. Che insomma è poco importante, quindi il finanziamento è stato dimezzato e gli impiegati ridotti a 4, nonostante siano aumentate in maniera evidente le segnalazioni. Passiamo agli infortuni sul lavoro: nel 2011 il tasso di incidenza infortunistica per lavoratori stranieri è stata pari a 40 infortuni per mille lavoratori (per gli italiani scende a 30). Per quanto riguarda gli incidenti mortali, la percentuale che riguarda gli immigrati è lo 0,06 per mille, a fronte dello 0,04 degli autoctoni. Ovviamente non rientrano in questo computo i lavoratori al nero, che sono in prevalenza immigrati. La ragione? I lavoratori stranieri sono impiegati soprattutto nei settori a maggior rischio.
Di immigrazione si parla, in un’ottica planetaria, quando si affrontano temi come il “lavoro forzato” – fenomeno in continua crescita, sia connesso a migrazioni esterne che transfrontaliere o esterne – o quando si affrontano i mutamenti politici che si sono prodotti soprattutto in aree tradizionalmente di emigrazione come America Latina, Africa e Asia. Laddove si è scelto, sembrano suggerire i curatori, di creare sviluppo economico compatibile con l’ambiente e con una impronta redistributiva delle risorse, non solo sono diminuite le spinte migratorie – anzi ci sono rientri – ma si va ampliando una classe media che vuole innalzare il tenore e la qualità della vita. Al contrario, laddove si vanno ancora imponendo le ricette che lo stesso Fondo Monetario Internazionale – principale artefice di tali programmi – oggi comincia a rivedere, aumenta la povertà e con questa il bisogno di andarsene. Ma i mutamenti politici sono anche quelli indotti dai tanti conflitti che si aprono o non si sono mai chiusi, ed ecco emergere come costante mai affrontata con la giusta consapevolezza, la questione dei rifugiati e richiedenti asilo per cui sembra non esserci spesso alcuna certezza. Il rapporto scava poi a fondo nella situazione italiana al momento in cui si parla di povertà e di riduzione del welfare. Anche in tal caso, puntualmente emerge, ad esempio, che a rivolgersi già nel lontano 2011 ai Centri di Ascolto della Caritas fossero, per il 70,7 stranieri, residenti soprattutto nelle regioni del centro nord. La struttura estremamente agile e di facile consultazione del rapporto, in cui sono raccolte numerose fonti e contenente una sterminata bibliografia per ogni tema, è insomma attraversata, in lungo e in largo dalla presenza migrante in Italia con interessanti riferimenti anche a specifiche e diverse situazioni internazionali.
A volte, ma purtroppo raramente, si intravvedono best pratices su cui poter investire. Molto più spesso, purtroppo il quadro tratteggiato definisce anche involuzioni future a meno che non si producano cambiamenti significativi che non sembrano per ora trovare cittadinanza nella sfera politica. Durante la presentazione, alcuni fra i numerosi relatori – che avevano direttamente o indirettamente collaborato alla stesura del volume – hanno rimarcato la necessità di produrre una sana conflittualità capace di entrare nel mondo istituzionale. Ne trarrebbero beneficio soprattutto i soggetti più vulnerabili anche se per ragioni diverse: donne, giovani e migranti.

Stefano Galieni