Cittadinanza unversale

La proposta spagnola

- 9 Giugno 2013

Un referendum europeo per il diritto dei migranti al voto amministrativo. È l’ipotesi formulata dal Foro de Sao Paulo e dalla Sinistra Europea riuniti a Santiago di Compostela.

Premessa: una consultazione referendaria continenentale non c’è mai stata e non è chiaro se esistano o meno gli strumenti giuridici per realizzarla. Sappiamo con certezza però che al riguardo non ci sono divieti. La forma potrebbe essere quella del referendum consultivo. Farcela rappresenterebbe però un bel salto in avanti, anche per dare corpo a quella unità europea che fino ad ora è stata soprattutto economica. Il quesito potrebbe essere questo: chiedere di ratificare per intero la Convenzione di Strasburgo del ’92, in particolare al capitolo C – ignorato in molti paesi fra cui l’Italia – che garantisce agli immigrati residenti il diritto di partecipazione politica alle elezioni amministrative, a quelle per il parlamento europeo. Ma si potrebbe anche andare oltre, e provare a parlare di voto alle politiche.

La proposta – ancora allo stato embrionale – arriva da Santiago di Compostela dove si è appena concluso il seminario del Foro de Sao Paulo (Fsp) e del Partito della Sinistra Europea (Se). Il primo riunisce oltre 100 partiti e organizzazioni politiche dell’America Latina e del Caribe. Rappresenta una realtà trasversale in cui convivono forze della sinistra radicale e moderata, esperienze cattoliche, movimenti nazionalisti, associazioni di vario tipo. Nato nel 1990 e cresciuto negli anni, oggi accade che molti tra i partiti membri siano al governo o sostengano esternamente l’esecutivo del proprio Paese. In altre parole: hanno un peso politico reale, che è accresciuto dalla capacità di fare rete su scala continentale ed intercontientale. Il Partito della Sinistra Europea, nato a Roma nel maggio 2004, è invece composto da partiti di ispirazione comunista e socialista di buona parte della Ue. Pur essendo forze di opposizione, in Spagna, Francia, Portogallo e Grecia, questi partiti sono in crescita e hanno forti rappresentanze nei parlamenti nazionali e sono presenti in quello europeo.

A Santiago si è parlato molto di immigrazione e di campagne da avviare su scala intercontinentale. In particolare, per il diritto alla cittadinanza. Le rotte migratorie, come molte volte è stato sottolineato, stanno cambiando. Al momento, però, l’America Latina continua ad essere una terra di emigrazione e l’Europa di immigrazione. Esiste una connessione forte che dovrebbe portare ad altrettanto forti prese di posizione. Quella di molti immigrati può essere riassunta in questi termini: “vivo in un paese europeo, sto costruendo qui il mio progetto di vita, perché non debbo essere considerato cittadino di questo continente con tutte le facilitazioni alla mobilità e alla stabilizzazione che questo comporta?”. In molti si sono soffermati sul fatto che la “cittadinanza” non deve essere più considerata soltanto come il “pezzo di carta” che preserva dalle insidie delle leggi, ma rappresenta anche la composizione di un sistema di diritti e doveri paritari su cui confrontarsi.

La proposta latinoamericana è quella di ridefinire un rapporto diverso con l’Europa e con gli europei, un rapporto di eguaglianza e di reciproco ascolto delle diverse istanze. Non è certo sfuggito il fatto che anche la circolazione delle persone impatta in maniera violenta con la crisi economica e le cause che l’hanno determinata. Da qui il tentativo di divenire operativi nell’impedire che tutto si risolva in un conflitto fra ultimi e penultimi. Si è a lungo parlato delle pulsioni xenofobe che attraversano il continente, amplificate dalla crisi, della necessità di fare fronte comune contro le strutture di detenzione amministrativa e contro gli strumenti del respingimento di migranti come Frontex, di produrre e di diffondere, con ogni mezzo, maggior coscienza nelle popolazioni. Concetti condivisi da tutti i relatori e scaturiti nei dibattiti, malgrado i sistemi legislativi dei singoli paesi siano diversi e malgrado l’immigrazione abbia caratteristiche diverse.

Discriminazioni, sfruttamento nel lavoro, precarietà connessa anche all’assenza di certezze nei diritti, forme di repressione mirata e di carattere etnico europee e miglior contatto con chi proviene dai paesi di emigrazione. In tempi brevi si definiranno anche altre campagne continentali in cui impegnarsi e in cui, al di là delle divergenze di ordine ideoligico, ognuno dovrà fare la propria parte. Ma il segnale è interessante, se forze politiche organizzate e anche di peso riusciranno ad unire gli sforzi, quello che non si riesce ad ottenere dai parlamenti nazionali – spesso miopi e refrattari ad affrontare simili questioni – potrà essere chiesto in un contesto europeo. Partendo però dal basso e da iniziative che si sviluppino nei singoli territori. Ma soprattutto dai rappresentanti dell’America Latina: qui si stanno producendo cambiamenti sociali e politici innovativi, e si ragiona – e non ci riferiamo solo all’ambito del seminario – ponendo a tema un’utopia: «Il solo modo per ragionare di immigrazione è affermare il diritto alla cittadinanza universale». Magari non è il solo, ma certo è uno dei più condivisibili.

Stefano Galieni