Schedature etniche

Una condanna esemplare

- 9 Giugno 2013

Tre anni fa, insieme ad altri migliaia di rom residenti nella Capitale, fu censito nell’ambito dell’“emergenza” nomadi. Nei giorni scorsi, con una storica sentenza, il Tribunale Civile di Roma ha riconosciuto a un cittadino rom di essere stato vittima di una discriminazione su base etnica e ha ordinato al Ministero dell’Interno di distruggere tutti i documenti contenenti i dati sensibili dell’uomo.
Nel gennaio 2010 la polizia aveva fermato e rilevato le impronte digitali di Elviz Salkanovic, cittadino italiano di etnia rom, in possesso di regolare documento d’identità. Questi, convinto di essere stato vittima di una violazione della propria dignità personale, aveva allora intrapreso le vie legali nei confronti di Presidenza del Consiglio dei Ministri, Prefettura e Questura di Roma.
Il ricorso, sostenuto da Associazione 21 luglio, Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione) e Open Society Justice Initiative, chiedeva l’accertamento del carattere discriminatorio delle procedure d’identificazione dei rom previste dal Piano Nomadi di Roma, varato in attuazione della più ampia “emergenza nomadi” dichiarata dell’allora governo Berlusconi.
Secondo le tre organizzazioni impegnate nella tutela dei diritti umani, tali misure hanno provocato, esclusivamente per un gruppo di appartenenti a una specifica comunità etnica, quella rom, una distinzione che ha gravemente violato il loro diritto all’onore, al decoro, alla reputazione e alla riservatezza, nonché il diritto all’eguaglianza nell’accesso all’alloggio. Il censimento era infatti stato presentato come una condizione necessaria per accedere a nuovi alloggi.
I ricorrenti hanno chiesto all’autorità giudiziaria la cessazione, da parte di Questura e Prefettura di Roma, dell’atto discriminatorio, consistente nella conservazione dei dati sensibili del soggetto.
Secondo la sentenza emessa dalla seconda sezione civile del Tribunale di Roma, il fotosegnalamento ha «comportato una distinzione basata sulla provenienza etnica, poiché quella persona di etnia Rom, cittadino italiano munito di documento, è stato senza ragione identificato mediante rilievi segnaletici in quanto coinvolto in un’operazione i cui destinatari di fatto erano gli appartenenti alla comunità rom». «Il trattamento a cui è stato sottoposto – prosegue la sentenza – ha provocato l’effetto sia di violare la dignità del ricorrente sia di creare un clima ostile da parte dell’opinione pubblica».
Il Tribunale ha quindi ordinato al Ministero dell’Interno di distruggere tutti i documenti contenenti i dati sensibili estratti a seguito dell’identificazione del cittadino rom. In più, la Presidenza del Consiglio dei Ministri e lo stesso Ministero dell’Interno sono stati condannati al pagamento di 8 mila euro in qualità di risarcimento morale nei confronti dell’uomo.
La sentenza del Tribunale di Roma interviene poche settimane dopo che la Suprema Corte di Cassazione aveva confermato quanto il Consiglio di Stato aveva già rilevato nel novembre del 2011, ossia che l’intera “emergenza nomadi” varata dal governo nel 2009 era illegittima, in quanto basata su false premesse emergenziali.
In vista delle numerose critiche dagli organismi internazionali di monitoraggio dei diritti umani, nel marzo 2012, il governo aveva dichiarato al Comitato per la Discriminazione Razziale delle Nazioni Unite che i dati del censimento nomadi erano stati distrutti.
Ora la sentenza impone l’obbligo di tale distruzione che, tuttavia, non risulta essere mai stata ordinata, nonostante lo stesso governo italiano abbia pubblicamente dichiarato di averlo fatto.
«Raccogliere le impronte digitali e le informazioni personali di migliaia di persone in un archivio, esclusivamente in base all’appartenenza a un particolare gruppo etnico o sociale, oltre che costituire una discriminazione dal punto di vista giuridico, rappresenta una violazione della dignità umana – affermano Associazione 21 luglio, Asgi e Open Society Justice Initiative –. Risulta particolarmente grave perché effettuata da autorità pubbliche preposte alla tutela dei diritti di chi vive sul territorio».
«La sentenza conferma come l’“emergenza nomadi” e il Piano Nomadi della Capitale abbiano condotto a una serie di azioni che hanno legittimato una sistematica violazione dei diritti umani dei cittadini rom in Italia, aumentandone la condizione di segregazione e marginalizzazione sociale e favorendo l’aumento di stereotipi negativi nei loro confronti. È tempo di ripristinare una condizione di maggior rispetto delle garanzie fondamentali a partire dalla cancellazione di tutti i dati sensibili nell’ambito del censimento nomadi», concludono le tre organizzazioni.
Fonti: Asgi, Open Society, Associazione 21 luglio