Letture necessarie

Quando le stelle sono nere

- 16 Giugno 2013

Nell’introduzione a Le mie stelle nere Lilian Thuram chiede a noi lettori: “Quando avete sentito parlare dei neri a scuola?”. Purtroppo la risposta che tutti danno è la schiavitù. Sembra che ad africani e afrodiscendenti non sia successo altro nel corso della storia. Solo sottomissione, prigionia, frustate, umiliazioni, colonialismo.
La schiavitù c’è stata naturalmente, nessuno lo nega, e ha interrogato milioni di afro/afrodiscendenti in tutto il globo. Ma c’è altro nella storia dei neri… molto altro. È questo altro che Lilian Thuram analizza nel suo libro.
Thuram noto al grande pubblico come calciatore (in Italia ha giocato al Parma e alla Juventus), anzi, come uno dei campioni del mondo di quella nazionale francese multietnica che tanto aveva fatto infuriare l’Fn, ora l’ex-atleta si è impegnato anima e corpo alla lotta contro il razzismo. Anche all’epoca della sua carriera calcistica i giornalisti lo etichettavano come il calciatore intellettuale. Colpivano i suoi occhialini neri da professore e quei suoi modi garbati. Non era uno che dava in escandescenze sul campo e fuori non si perdeva nel ciclone fatto di feste e gossip che ha caratterizzato la vita di molti. Ha sempre pensato che il suo successo potesse essere declinato in senso positivo per portare beneficio all’intera comunità. È in quest’ottica che Thuram crea la fondazione che porta il suo nome (http://www.thuram.org/) e che ha nel suo statuto una lotta strenua al razzismo legata soprattutto alla formazione. E di successi in questa sua seconda carriera di attivista culturale e antirazzista Thuram ne ha collezionati molti. Incontri con le scuole nelle banlieue difficili abbandonate dallo stato, libri sempre puntuali e coinvolgenti, una mostra, “l’invenzione del selvaggio”, che l’ha visto tra i curatori al Quai branly e che ha avuto un successo di pubblico immenso. Ora il libro (che in Francia è uscito nel 2010) è la ciliegina su una torta fatta di impegno civile e voglia di futuro. Lilian di fatto ha scritto il libro che voleva avere a scuola da piccolo. Il libro che lo avrebbe aiutato nella crescita. La sua infanzia aveva bisogno di un libro del genere, un libro che potesse renderlo orgoglioso del proprio essere nero e umano in fin dei conti. Però questo libro non c’era negli anni della sua formazione. Purtroppo da subito il piccolo Thuram ha dovuto affrontare le difficoltà della vita. A scuola lo chiamavano Noiraude come la mucca stupida di un cartone animato molto seguito in Francia e in generale la vita era dura. Lui in quella Francia piovosa e un po’ cupa ci era arrivato all’età di nove anni dalla Guadalupa. Sua madre era riuscita dopo mille vicissitudini a far venire a Parigi lui e i suoi quattro fratelli. E il razzismo con tutto il suo armamentario era lì purtroppo pronto ad aspettarlo. Invece di soccombere ad esso ha cercato di interrogarsi, di capire le cause di quell’empietà e solidarizzando con altri ha cercato nel suo ambito di disinnescarlo.
E il libro Le mie stelle nere di fatto è un tassello importante in questa sua lotta personale contro il razzismo. Non è un elenco di personaggi e biografie come potrebbe apparire ad uno sguardo superficiale. Non un bignami nero per intenderci, ma qualcosa che cerca di approfondire con un’analisi puntuale pregiudizi e luoghi comuni. Di fatto quello che ha voluto costruire Lilian Thuram è un tentativo (riuscito direi) di guardare la storia da un altro punto di vista, dandole il giusto peso e il giusto equilibrio. La storia non è bianca e non è nemmeno nera. La storia è fatta di tutte le nostre complessità, dei nostri vissuti, dei percorsi di donne e uomini dall’antichità ad oggi. Per secoli però la storia è stata fatta dai padroni che hanno sbiancato ciò che bianco di fatto non era. Se pensiamo all’antica Roma raccontata dal Fascismo per esempio, anche noi come Lilian Thuram dovremmo fare un esercizio di requilibrio storico. Capire che gli antichi erano complessi quanto noi. E che per esempio nell’antica Roma molti imperatori venivano dalla Spagna o dalla Libia.
È per questo che Thuram crea con Le mie stelle nere, una spessa tela dove vari percorsi umani si intrecciano. E in quest’ottica anche la schiavitù, il middle passage, assumono un significato tutto nuovo. Non una contrapposizione tra bianchi e neri, ma “un sistema economico, un’attività ordinata, regolamentata, un commercio di esseri umani pianificato con cura”. Non a caso Thuram ricorda nella sua introduzione che la schiavitù ha colpito tutte le popolazioni e che questa piaga è stata creata dall’avidità dell’uomo. E che sono quei sistemi economici e mentali che ancora ci portiamo addosso a creare concetti assurdi come quello dell’inferiorità e della sottomissione.
Per questo mette in fila le biografie di persone che attraverso l’impegno, o a volte solo un semplice gesto, hanno cercato di cambiare il mondo, il loro e di riflesso il nostro. Non sono solo “stelle nere” prese a caso, ma sono “stelle nere” che hanno arricchito il percorso di tutti noi umani. Ed è così che incrociamo il cammino glorioso di combattenti per la libertà come Patrice Lumumba o Toussaint Louverture, anonimi eroi come il resistente che non ha parlato Addi Ba, uomini e donne di lettere come Phillis Wheatley, Esopo o Aleksandr Puskin, campioni dello sport come Mohamed Alì o la libellula nera Panama Al Brown. Insieme a nomi e fatti noti che tutti si aspettano di trovare nel Pantheon di Thuram come Malcolm X e Martin Luther King, ci sono anche traiettorie meno note al grande pubblico. La sofferenza di Oto Benga mostrato in uno zoo umano come un fenomeno da baraccone, la caparbietà di Matthew Henson che lo portò ad esplorare il polo nord o il grande sogno di Cheick Modibo Diarra il viaggiatore interplenatario maliano. Thuram dedica molto attenzione anche alla storia delle donne nere. Ci sono donne coraggiose, intelligenti, sempre pronte a mettersi in gioco per la propria gente e per le future generazioni. Da Anna Zingha ad Harriet Tubman sono le donne ad essersi caricate per secoli il peso di non perdere mai la lucidità anche nei momenti più duri.

Il libro poi si apre con la storia di una donna, la madre di tutti noi umani: Lucy.
Tutti gli studi scientifici infatti sono concordi nel dire che il Primo Uomo e la prima donna sono nati in Africa. Lucy di fatto non è né nera, né bianca, né altro. Lucy, nata in Africa Orientale più di tre milioni di anni fa, faceva parte di quella fucina, come dice Thuram nell’introduzione del libro, da cui l’umanità ha attinto i propri antenati.
Tra amenità, curiosità, riflessioni si scopre che la storia è molto più densa e complessa di come ce l’hanno raccontata a scuola.
E non è un caso che Lilian Thuram ci spinge, a pagina 414 e 415, a guardare il mondo da un altro punto di vista. In quelle pagine c’è una cartina della nostra amata Madre terra. Ma non la solita cartina dove l’Europa è resa più grande di quello che è. Qui le reali proporzioni dei continenti è rispettata. E Thuram (questo è un guizzo di vera genialità in un libro di per sé già geniale) ci spinge a guardare il mondo capovolto. In realtà non c’è niente di capovolto. Ci hanno abituati in Occidente a guardare il mondo solo da un punto di vista eurocentrico, spostando la cartina, capovolgendola rispetto ai canoni mainstream comunemente accettati, noteremo che il nostro sguardo di fatto non è più lo stesso.

Un libro quello di Lilian Thuram dedicato ai più giovani. Per renderli consapevoli che il mondo è fatto di differenze e che siamo di fatto tutti mescolati.

Un testo che ogni scuola dovrebbe usare. E che anche ogni adulto dovrebbe leggere.

Igiaba Scego