Teatro

Un ponte tra Napoli e il mondo

- 16 Giugno 2013

A Napoli Teatro Festival va in scena la multiculturalità. A partire da Desdemona.

Ricco, variegato, stimolante. Il Napoli Teatro Festival Italia 2013, a cura del direttore artistico Luca De Fusco, riserva parecchie sorprese: tra queste quattro spettacoli, tre dei quali in prima mondiale, che trattano tematiche attuali, di spessore, e che si pregiano di nomi della letteratura, del teatro e della musica di livello internazionale.

A partire da Desdemona, firmato da Peter Sellars, uno dei più innovativi e anticonformisti registi americani contemporanei, artefice di oltre un centinaio di produzioni, tra teatro, opera, cinema e televisione.
Anche questa volta Sellars non si smentisce: prendendo spunto dalla fine del IV atto dell’Otello, ci rende partecipi della vita del personaggio femminile shakesperiano, qui però completamente rivisitato e reinventato grazie alla creatività di una scrittrice come Toni Morrison, premio Nobel per la letteratura, e di una musicista di estrema sensibilità e bravura come la maliana Rokia Traorè. Questa commistione di linguaggi porta a un risultato davvero interessante, del quale val la pena sapere qualche piccolo antefatto: il progetto nasce infatti diversi anni fa da una chiacchierata tra Sellars e Morrison, proprio intorno all’Otello, opera in realtà non amata da Sellars (da lui già portata in scena nel 2009 in una lunga versione futuristica e high-tech), ma con la quale Toni Morrison si sarebbe misurata volentieri, a modo suo. E allora perché non accettare una nuova sfida e lanciarsi in un’insolita avventura a quattro mani, anzi, sei? Detto fatto. Ed ecco che, accanto alla coppia, entra in scena, coinvolta proprio dallo stesso Sellars, la cantautrice maliana. Per ben nove mesi, sulla linea telematica New York-Bamako fervono i lavori: Toni invia i suoi testi drammaturgici, Rokia risponde con le sue canzoni e le sue liriche in lingua bambara, destinate ad accompagnare i monologhi dell’attrice scelta per lo spettacolo.
Dalle tre menti e dalle sei mani nasce così un intenso dialogo tra Desdemona e la sua balia Barbary, interpretata da Traorè (Barbary nell’inglese elisabettiano stava ad indicare l’Africa del nord, il Maghreb, e nell’originale shakespeariano è citata nel quarto atto come serva della madre di Desdemona).
I personaggi vengono riportati al pubblico dal regno dei morti, e ci parlano con passione della loro vita passata. Dopo secoli di colonialismo, di razzismo, di sofferenze, le due donne condividono parti della loro esistenza, canzoni e speranze per un futuro diverso. Desdemona rivive, si fa conoscere, esprime i suoi sentimenti, i suoi pensieri, non è più una vittima, ma una donna volitiva, fiera, che si ribella all’ingiustizia subita e che racconta del suo amore tragico; a farle da contraltare le incantevoli melodie di Rakia-Barbary, avvolgenti, cullanti, capaci di sospingere fuori dal tempo e dallo spazio, in una dimensione a cavallo tra il reale e l’irreale, in cui non esistono mura che delimitano, ma in cui il fluire di emozioni, l’intensità del vissuto di entrambe porta a un livello di condivisione universale, che va al di là delle frontiere, delle epoche, delle classi sociali.
«Si crea, così, un ponte immaginario fra Venezia e l’Africa, attraverso la melodia e il canto bambara. E il lamento della schiavitù e della patria perduta di Barbary si riassorbe nella rabbia e nel rimpianto di una Desdemona contemporanea che rivendica la propria dignità femminile e si ribella alla violenza di cui è stata – ed è ancora – vittima, in un presente eterno e senza tempo – ha sottolineato la professoressa Itala Vivan, docente all’Università Statale di Milano, una delle massime esperte di letteratura africana di lingua anglofona – Il duetto fra le due donne si svolge in un non-luogo, poiché sono entrambe defunte e parlano dall’aldilà, afferrandosi all’antico rapporto che le aveva unite in un’esistenza accaduta altrove, ma tuttora presente e viva nelle emozioni. Barbary e Desdemona sono spiriti inquieti, che – come vuole una diffusa credenza africana – ritengono non ancora completato il proprio destino e, quindi, insistentemente si affacciano a chiedere di venire ascoltate». La cantante del Mali, con la sua chitarra, è accompagnata da due coriste e da due musicisti africani alla kora (sorta di arpa) e allo n’goni (un antico liuto); la fusione di parole e note, la sincerità e la profondità che emergono dalle parole di queste donne, capaci di aprire completamente i loro cuori, creano un’atmosfera di grande intensità poetica, una sorta di viaggio attraverso i continenti e le culture, che dà vita a un coinvolgente rito teatral-musicale. Lo spettacolo, già passato con successo da New York, Berkley, Parigi, Londra, Berlino, Vienna, arriva a Napoli, al Teatro Mercadante, il 18 e il 19 giugno. Rokia Traorè, che ha appena pubblicato il suo nuovo album Beautiful Africa, sarà nuovamente in Italia per due date: si esibirà in concerto a Roma (Auditorium della Musica) e a Milano (Carroponte), rispettivamente il 14 e il 15 luglio.

L’Africa ritorna, qui pienamente protagonista, con Une nuit à la Prèsidence, un affresco lucido, non retorico, del continente africano, opera del regista Jean-Louis Martinelli, direttore del Théatre Nanterre-Amandiers di Parigi. Un presidente e la sua first lady ricevono un investitore straniero e decidono di invitare un gruppo di musicisti per allietare la serata coi loro canti. Ma l’incontro non va come avevano sperato, la situazione degenera… È questo il punto di partenza del nuovo spettacolo di Martinelli, che per la stesura si è avvalso della collaborazione di Aminata Traorè, scrittrice, ex Ministro della Cultura in Mali, da sempre molto attenta ai temi riguardanti donne e migranti. Anche nel caso di questo lavoro c’è un retroscena interessante: Martinelli collabora già da una decina d’anni con un gruppo di attori del Burkina Faso. Uno stage svolto proprio con alcuni abitanti del posto ha condotto inizialmente, nel 2003, alla creazione di Médée, portato in seguito in tournée mondiale; il regista francese ha poi deciso di proseguire la sua avventura artistica nel continente africano, prendendo spunto anche da alcuni brani del film Bamako di Abderrahmane Sissako, e concentrandosi su questo nuovo progetto: «Attraverso la farsa politico-economica saranno esposti difetti e stranezze della società. L’Africa e i suoi mali – debito, corruzione, prostituzione, finti progetti culturali… – ci rivelano in maniera lampante le derive del mondo contemporaneo. Ridiamo insieme – sottolinea il regista – per meglio comprendere e insorgere». In prima mondiale al Teatro Mercadante, il 22 e 23 giugno.

Reduci dal successo di Memorie di una schiava, Pamela Villoresi e Gigi Di Luca presentano a Pietrarsa, il 19 e il 20 giugno, in prima mondiale, Nata sotto una pianta di datteri, un viaggio alla ricerca della propria identità. Liberamente tratto dal romanzo Yusdra e la città della sapienza di Daniela Morelli, questo nuovo lavoro racconta la storia di due donne: quasi cieca, matriarca di una tribù nomade, Leyla, la donna dai tuatuaggi scuri che vive nel deserto e che guida con fermezza la sua gente in cammino, decide di consegnare Yusdra, la nipote prediletta, all’Occidente, mentendole e vincolandola a un segreto. È così che, catapultata in un luogo per lei privo di orizzonte, da genitori che credeva morti, inizia per Yusdra un inaspettato cammino verso l’integrazione, ma anche verso un destino che la indica custode della biblioteca di famiglia e di un inconfessabile segreto.

Si ispira a Zingari, di Raffaele Viviani, l’omonimo spettacolo messo in scena per il Festival da Arrevuoto, progetto di teatro-pedagogia nato a Scampia, uno dei quartieri “difficili” del capoluogo campano, anima di una delle poche esperienze in città in grado di connettere centro e periferia, immigrati e napoletani, giovani delle fasce sociali medio-alte con quelli delle fasce sociali medio-basse. Protagonisti gli adolescenti rom e napoletani che reinterpretano nella loro lingua quotidiana – slang, dialetto – il testo originale, evidenziandone gli spunti di riflessione critica sul presente. L’intreccio interculturale di vite, energie e storie – già presente in Viviani – è rafforzato anche dall’incontro con i giovani musicisti dell’Orchestra rom di Sulukule Children Arts Atelier. Diretto da Maurizio Braucci e dai registi del progetto, lo spettacolo inonderà la piazza della ferrovia di Pietrarsa il 23 giugno, andando a concludere l’edizione 2013 del Festival.

Paola Babich