Cittadinanze negate

Passetto avanti

- 30 Giugno 2013

M. ha la sindrome di down e il Viminale ha respinto la sua richiesta di cittadinanza. Ma il Tar ha bocciato il provvedimento.

Attraverso gli avvocati Anna Maria Cardona e Alfonso Amoroso, l’amministratore di sostegno della ragazza, nata a Roma da genitori bosniaci da tempo residenti in Italia, ha presentato ricorso al Tar del Lazio per contestare il provvedimento con il quale, nel marzo 2011, venne dichiarata inammissibile la richiesta di concessione della cittadinanza italiana, in quanto la disabile non sarebbe stata ritenuta in grado di esprimersi in italiano né di manifestare la propria volontà.
Il Tar con sentenza n. 5568 del 4.6.2013, ha annullato per difetto di istruttoria il decreto del ministero dell’Interno. Il caso è molto interessante per via della sua complessità. M. aveva infatti l’amministratore di sostegno (Ads), ed è stato questi a presentare la richiesta di cittadinanza. Il Tar ha rigettato le obiezioni del ministero sulla necessità che le istanze debbano essere personalmente sottoscritte dai richiedenti. Basandosi sulla legge 6/2006 sull’amministrazione di sostegno, il Tribunale ha ritenuto che l’Ads avesse il potere di sottoscrivere per l’interessato, il quale comunque non aveva perduto la capacità di agire a differenza dell’ipotesi in cui fosse stato interdetto. Il Tar ha affrontato nel merito il divieto posto dal ministero dell’Interno alla concessione di cittadinanza italiana e si è così espresso: «Ritiene il collegio che la carenza del linguaggio verbale non può essere motivo per ritenere una persona incapace di manifestare la propria volontà né per sostenere che essa non possa in altro modo dimostrare di quanto meno comprendere la lingua italiana. Infatti, la capacità della ***** di comprendere la lingua italiana, pur senza sapersi esprimere, può con le opportune cautele e gli adeguati strumenti – essere valutata, con l’ausilio di personale specializzato, ad esempio rivolgendole semplici ordini e verificando se essi vengono eseguiti, o comunque osservando le sue reazioni alle frasi che si pronunciano in lingua italiana». E di seguito: «Più arduo è invece il procedimento di accertamento della volontà della disabile di diventare cittadina italiana alla luce delle sue limitazioni espressive e cognitive. Ma prima di giungere alla conclusione della impossibilità per la disabile di manifestare una tale volontà, l’amministrazione avrebbe dovuto valutare in concreto, all’esito di un accertamento approfondito e condotto con l’ausilio di personale specializzato, se una tale impossibilità effettivamente sussista, pur non essendo stata la disabile privata giuridicamente della capacità di agire. Nell’ambito di tali accertamenti potranno, eventualmente, essere presi in esame anche elementi indiziari, quali la permanenza in Italia, la comprensione della lingua e della cultura italiana, lo stile di vita, ecc. Non risulta invece che tale istruttoria sia stata effettuata in quanto l’amministrazione – come si è detto – si è limitata al dato della impossibilità della disabile di sottoscrivere l’istanza e di esprimersi nella lingua italiana».
La sentenza costituisce un importante precedente sia per le successive pronunce della Magistratura che per orientare la prassi del ministero dell’Interno e delle questure.