Brasile

Vem pra rua

- 30 Giugno 2013

L’analisi di Angela Lano, direttore di Infopal e che vive stabilmente nel grande paese latinoamericano.
Il grido “vem pra rua” (vieni in strada) è stato udito da centinaia di migliaia, forse milioni, di brasiliani che sono scesi nelle strade per rivendicare legittimi diritti negati ormai da troppo tempo: scuole, sanità, trasporti dignitosi; lotta radicale e capillare a una corruzione endemica e degna di regimi arabi; un sistema tributario che colpisca anche i privilegiati.
Il Brasile è un Paese-continente che viaggia a più velocità: 1) quella dei ricchissimi, dei grandi capitali, del neo-liberismo, dei fazendeiros degli ancora enormi latifondi, delle lobby e degli speculatori edili, degli imprenditori coinvolti nelle Grandi Opere, di coloro, cioè, che stanno godendo appieno dello sviluppo economico in atto; 2) quella della neo-rinata classe media composta da insegnanti, impiegati, intellettuali vari, piccoli imprenditori, professionisti, ecc.; 3) quella dei ceti popolari che con fatica e indebitandosi per “consumare” ed essere alla pari degli altri, stanno risalendo dal fondo del pozzo; 4) i poverissimi, che a milioni sono appena usciti dalla fame, grazie al progetto, vincente, dell’ex presidente Lula, “Fome Zero” e delle sue “bolse” e piani di assistenza sociale. La classe media fa fatica a colmare l’enorme distanza tra poverissimi e ricchissimi, in quanto lo sviluppo e i suoi lauti proventi sono distribuiti, come sempre, quasi a senso unico alla micro-categoria dei ricchi epuloni.

Da Lula a Dilma: da “fome zero” all’illusione del consumismo a tutti i costi Come è irrealistico enfatizzare lo sviluppo economico senza tenere conto dei tanti, troppi, aspetti drammatici nella società brasiliana e dell’ingiusta distribuzione della ricchezza, è altrettanto fuorviante non ricordare i grandi obiettivi raggiunti in tre governi del Pt – soprattutto quelli guidati dal presidente Lula. L’ambizioso programma “Fome Zero” ha raggiunto milioni di indigenti sparsi nell’immenso territorio brasiliano, strappandoli alla fame. In un Paese dove tanti bambini e adolescenti frugavano tra le montagne di rifiuti delle megalopoli per cercare i mezzi per sopravvivere, è indubbiamente una grande conquista sociale. Lo sono anche le campagne per le vaccinazioni, i centri pubblici di salute, l’accesso alle scuole superiori e all’università di fasce sempre più ampie di popolazione (laddove in Italia qualche intellettuale snob suggerisce di precluderlo alle classi popolari). Sebbene i progetti di riforma sociale del carismatico Lula non abbiano mai intaccato i grandi interessi delle lobby, delle corporation, dei fazendeiros e i loro privilegi, sono stati comunque apprezzati e riconosciuti come validi da molti.
Differente è, invece, la posizione dell’attuale presidente, la battagliera Dilma Rousseff, le cui politiche sembrano orientate prevalentemente all’incoraggiamento al consumo, anche tra le classi povere che si stanno indebitamento pur di acquistare prodotti continuamente pubblicizzati nelle tv (tutte estremamente commerciali). I prezzi sono alle stelle, sia per elettrodomestici sia per i generi alimentari, sia per le case e le auto, per non parlare di scuola e sanità private; la bolletta dell’energia elettrica è carissima, i trasporti pubblici hanno costi europei, mentre i salari minimi sono ancora bassissimi. Il divario abissale tra chi gira in elicottero o in auto costose con autista e chi in autobus sgangherati è ancora troppo forte, anche sotto la presidenza di una ex guerrigliera. E tutto questo ha risvegliato il “gigante” che dormiva, come gridano i manifestanti in Brasile, e una volta sveglio, lui continua a camminare: la collera dei ceti medi e popolari sta andando in scena in queste settimane, e non pare arrestarsi, nonostante la pronta e disponibile, e quasi spaventata, reazione del governo federale, che in una notte di lavoro ha approvato una serie di leggi e decreti per andare incontro alle richieste della piazza.

Le ragioni della rabbia In Italia si sono scritte tante cose, alcune realistiche e interessanti, altre fantasiose, ma è indubbio che le ragioni della rabbia popolare non sono campate per aria. Chiunque conosca questo Paese, ci viva o ci viaggi per le sue strade in pessime condizioni, o sia entrato in una scuola superiore pubblica, magari nel Nordest, o si sia fatto visitare in qualche fatiscente ospedale per quelli che non hanno assicurazioni, abbia percepito la corruzione politica radicata, l’ingiustizia sociale, le discriminazioni basate sullo status economico, la violenza e tutto il resto, può comprendere bene i motivi del malessere e delle reazioni di piazza. Anzi, si chiederà come mai il gigante non si sia svegliato prima.
Il Nordest, in particolare, è una riserva di povertà, ignoranza (nel senso di mancanza di istruzione, abbandono scolastico, scuole che non formano perché anche gli insegnanti sono impreparati e demotivati), di infanzia di strada e gravidanze precoci, di prostituzione e sfruttamento sessuale, di assenza di senso civico. Tutto questo va ad alimentare le riserve di marginalità, devianza e violenza di molte grandi città del benestante centro e sud del Brasile, o delle capitali nordestine stesse. Ingiustizie sociali ed economiche si mescolano e alimentano quelle politiche: la Bahia, il bellissimo Stato africano della Federazione, a stragrande maggioranza negra (qui si usa ufficialmente questo termine, che invece da noi suona razzista) è governato da un gringo bianco, padre-padrone. Bianchi sono sindaci e altri amministratori, alcuni addirittura familiari di storici e odiati fazendeiros. Si fa fatica a capirne le ragioni, se non nel disinteresse e nella non conoscenza del sistema politico stesso, nella compra-vendita dei voti e dei favori, nella corruzione ad alti livelli, e nella conseguente rassegnazione dei cittadini. Una rassegnazione che, misticamente, si è scossa: a decine, centinaia, di migliaia, sono scesi in strada a Salvador, la capitale della Bahia, e pare non abbiano più voglia di smettere. Qui, lo sperpero di denaro pubblico è sotto gli occhi di tutti: da anni è in costruzione un’improbabile e costosissima linea metropolitana, che, funzionante, decongestionerebbe il folle e anarchico traffico su ruote delle strade cittadine – una sorta di slalom tra buche e affossamenti vari, che giornalmente causano incidenti gravi –, ma che invece non è mai finita e risucchia milioni di reais. E poi le Grandi Opere a prezzi elevati per la Coppa delle Confederazioni, e i Mondiali di Calcio del prossimo anno; le mega-strutture di fronte al mare, che lasciano perplessi, se solo si guarda a pochi metri più in là, tra la sconfinata distesa di favelas e di fatiscenti edifici, o se si pensa al bisogno fondamentale di opere di pubblica utilità. Il Brasile è una potenza in crescita, ma anche la rabbia popolare sta crescendo di pari passo…

Angela Lano