Fresco di stampa

Noir al gusto pesto

- 7 Luglio 2013

Ambientato tra i caruggi di Genova, Amin, che è volato giù di sotto di Nadia Morbelli (Giunti, euro 10) è una lettura d’intrattenimento, perfetta per l’estate.
È un giallo che ha per protagonista una ragazza che lavora in una casa editrice e si trova, per la seconda volta (dopo Hanno ammazzato la Marinin) coinvolta in un’indagine di polizia. Si chiama Nadia Morbelli (che è anche lo pseudonimo dell’autrice, che non rivela la propria identità) e una sera d’inverno, in un vicolo del centro storico, si imbatte nel cadavere di un ragazzo africano, che pare si sia buttato giù da una finestra. Il pregiudizio scatta immediatamente, anche da parte della polizia: il ragazzo sarà sicuramente uno che si era “fatto” e, per questo, è cascato giù. «Il personaggio di Amin e i pregiudizi che lo circondano mi sono stati ispirati da un fatto che mi è capitato tanti anni fa», racconta l’autrice. «Avevo conosciuto una ragazza nera, evidentemente di buona famiglia, e la prima cosa che avevo pensato era stata: “Che fortuna che sia stata adottata da una famiglia italiana”. Poi avevo incontrato i suoi genitori, che invece erano africani, coltissimi, lavoravano in un contesto diplomatico e parlavano 7 lingue. Così mi ero resa conto di quanto fossero radicati in me certi pregiudizi. Gli stessi che emergono nel caso di Amin, che viene classificato all’istante spacciatore e drogato, quando poi viene fuori che era un ricercatore universitario». In questo libro la “genovesità” (la protagonista ama usare il dialetto e apprezza particolarmente la cucina tradizionale) è intrecciata a stretto filo con il mondo dell’immigrazione, come se una cosa, ormai, non si distinguesse più dall’altra. «È proprio così. Genova è una vera città multirazziale e multietnica, dove lo scambio culturale avviene quotidianamente: i senegalesi che vivono da noi mangiano il pesto, così come io cucino regolarmente il couscous, per dirne una. Nel centro storico i besagnini, cioè gli ortolani, sono maghrebini o cingalesi, chiamano le verdure con i nomi locali e hanno preso la vecchia abitudine di regalare “i sapori”, ovvero le erbe aromatiche, a chi va a fare la spesa da loro», continua l’autrice. «Molti immigrati, poi, si stanno emancipando dall’idea che a loro siano destinati solo i mestieri umili. Per il mio lavoro mi capita di incontrare tanti ragazzi che studiano all’università, e hanno motivazioni fortissime: magari fanno mestieri qualunque per mantenersi, ma vogliono a tutti i costi laurearsi, migliorarsi, costruirsi un buon futuro. E non parlo solo dei figli degli immigrati, che magari sono nati qui, ma di ragazzi che arrivano per motivi di studio e in poco tempo imparano perfettamente l’italiano e si integrano. È per rappresentare loro che ho inventato il personaggio di Kadigia, la sorella di Amin, che Nadia incontra in Università. Con questo non voglio dire che la città sia un paradiso, ovviamente: come sottolineo nel libro, ci sono “onesti” genovesi che affittano i loro appartamenti a 10 immigrati a prezzi esorbitanti. Sussistono ancora molti pregiudizi. E ci sono situazioni problematiche, come le bande di adolescenti sudamericani spesso protagoniste di risse. Ma Genova non è solo questo. Anzi».
E della città ligure (fuori da ogni finzione letteraria) parla anche Stefano Galieni nell’articolo di apertura, sempre su questo numero di Corriere Immigrazione.

Gabriella Grasso