Da Ratisbona a Lampedusa

A chi appartiene il Vangelo

- 14 Luglio 2013

A una settimana dalla visita del Papa, le riflessioni di un sacerdote missionario che è anche il presidente di Giù le Frontiere.

L’immagine che riaffiora insistente pensando al viaggio di Francesco I a Lampedusa è quella di un omino bianco, di spalle, in piedi sull’estrema frontiera sud dell’Europa, rivolto al mare, con in mano quel pastorale (il bastone ricurvo spesso tenuto in mano dai vescovi) “non protocollare”, cioè né d’oro né d’argento ma ricavato dal legno dei barconi, testimone di tante tragedie e di tanta disumanità. Non l’ho visto con i miei occhi. L’ho immaginato. E questa immagine riesce a concentrare ed esprimere per me il senso di un evento straordinario: l’improvviso viaggio del vescovo di Roma sull’isola degli sbarchi.

Roma ha sempre dovuto difendersi e all’occorrenza aggredire, legando la propria sopravvivenza agli equilibri geopolitici ed economici europei, mettendosi, di fatto, dalla parte di chi voleva conquistare senza  lasciarsi conquistare dagli altri. Il Papa ora però non ci sta più e nessuno potrà più coprirsi dietro il suo abito bianco col pretesto di difendere la cristianità. Il Vangelo è un’altra cosa.

Tra gli sbarcati, i naufraghi, i dispersi e certamente tra le migliaia di persone che hanno perso la loro vita nel mar Mediterraneo, ci sono molti musulmani e anche cristiani. Ma il Vangelo non fa differenza. La scelta di campo del Vangelo si gioca su altro. Il Vangelo è dalla parte degli ultimi ed è agli ultimi che più che mai appartiene. Gli ultimi, cioè gli impoveriti del mondo, quanti subiscono, inermi, quelle decisioni, che Francesco, nella sua omelia a Lampedusa,  ha definito “crudeli” proprio alla vista del dramma che si è consumato e continua a consumarsi tra le sponde del mediterraneo. La differenza che salta agli occhi, rispetto alle abitudini curiali del Vaticano, è che Francesco non si è limitato a deplorare affacciandosi alla finestra, ma è voluto uscire dal palazzo per andare di persona a vedere il dramma che la televisione fa scorrere davanti ai nostri occhi assuefatti al peggio, chiedendo che si ponga fine a questo strazio e alla globalizzazione dell’indifferenza che rende tutti meno umani. Ingerenza, ha detto qualcuno. No. Francesco ha fatto il suo lavoro, come altri prima di lui e in altre latitudini, vescovi, preti, semplici credenti che in nome del Vangelo non hanno tollerato oltre gli insulti alla dignità dei poveri.

Impressionante, per chi è dell’ambiente come il sottoscritto, questa messa pontificale senza sfarzi e senza ori, sulle rive del Mediterraneo, senza coro della Cappella Sistina, senza le lentezze teatrali e medievali della liturgia vaticana. L’essenziale era altro, quei morti di razzismo che giacciono in fondo al mare per i quali nessuno piange.

Come dicevamo, i migranti che arrivano sui barconi sono perlopiù di religione islamica. Francesco, l’ha tenuto ben presente ed ha perciò augurato ai migranti buon Ramadan. Ma allora il simbolismo del viaggio a Lampedusa si arricchisce di altri significati. Sono davvero finite le crociate: non è tollerabile il pretestuoso accostamento tra l’Islam e la violenza irrazionale e fanatica, mentre è assolutamente necessario riconoscere che la violenza è il tessuto connettivo di ogni forma di esclusione e la genera. L’esclusione è sempre violenta e lo si è visto bene nelle omissioni di soccorso in mare, nei respingimenti, nei rimpatri forzati, nell’abbandono delle persone nel deserto, come nelle traversie quotidiane degli immigrati.

Quanto è lontana Lampedusa da Ratisbona. Qualsiasi religione, quando diventa strumento del potere, cede inevitabilmente alla tentazione della violenza, ne ha bisogno perché è impossibile controllare le coscienze senza qualche forma di coercizione. Fu così anche nel XV° secolo, quando ad un Islam conquistatore si oppose un Cristianesimo conquistatore. Alla caduta di Costantinopoli, che pose fine all’Impero Romano d’Oriente, si rispose, dietro benedizione pontificia, con  il tentativo di conquistare nuovi  territori a sud del Mediterraneo e sulle coste dell’Africa e poi alla conquista e spartizione delle americhe con l’eliminazione degli indios. Questa storia è continuata con lo schiavismo, poi con la colonizzazione e ora con politiche economiche che non tengono in alcun conto i bisogni della gente né in Africa né in alcun altra parte del mondo. Di questo siamo responsabili noi, oggi.

Il linguaggio gestuale e verbale di Lampedusa apre una prospettiva diversa, comprensibile alle vittime dell’ingiustizia come a tutti coloro che non si vogliono sottomettere al cosiddetto mercato e agli interessi delle plutocrazie internazionali, loro sì, senza frontiere. Anche in Italia il 10% della popolazione possiede il 45% della ricchezza.

Francesco non è un Papa europeo. Le ascendenze italiane evidenziano piuttosto il suo status di figlio di emigranti: argentino di seconda generazione. L’approccio alle questioni fondamentali con lui cambia completamente direzione. Non sono più così importanti i problemi che fino ad ora avevano caratterizzato le preoccupazioni della Chiesa cattolica, concentrata sul suo proprio futuro in Europa. Diventa invece evidente che, se il Vangelo può essere significativo oggi, lo è a partire da un’altra domanda, che riguarda non primariamente il futuro della Chiesa, ma quello dell’umanità. La Chiesa, o meglio il Cristianesimo, non può avere futuro se non nella solidarietà con gli ultimi. È da quando ha cominciato il suo pontificato che Francesco invita i credenti ad abbandonare l’autoreferenzialità religiosa per uscire fuori, andare verso le periferie, in mezzo ai poveri. Lui per primo prende la testa della carovana. Su questa strada non c’è più ragione a nessun tentativo di conquista, neppure alla subdola tentazione di andare verso gli altri per portarli o ri-portarli nell’ovile. La strada del credente come quella del non-credente o del diversamente credente è la stessa. Anche questa è una novità di questo “non-pontificato” che tuttavia costruisce ponti per aprire passaggi di comunicazione da cui si dissociano solo coloro che vedono gli altri come nemici dei propri interessi e privilegi. Gli apparati ecclesiastici riusciranno a cogliere questa novità e a farla propria? Difficile rispondere. Ma forse non è poi così importante. Alla fine ciò che veramente conta è che si realizzi l’utopia che la visita a Lampedusa ha prefigurato e per la quale insieme stiamo cercando un luogo.

Daniele Frigerio