Diritto d'asilo

Cosa cambia nell'Ue

- 14 Luglio 2013

Avvicinamento della detenzione all’accoglienza e maggiori garanzie  contro i refoulement. Le nuove direttive fissano paletti importanti per la tutela dei diritti.

Oltre al Regolamento (UE) n. 603/2013 e Regolamento (UE) n. 604/2013, che superano in parte il cosiddetto regolamento Dublino 2, lo scorso 26 giugno il Parlamento ed il Consiglio dell’Unione Europea hanno approvato due Direttive che riguardano le qualifiche e le procedure per il riconoscimento di uno status di protezione internazionale e che introducono novità rilevanti.

Questi atti sono stati pubblicati nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 29 giugno 2013. La Direttiva 2013/32/UE del 26 giugno 2013 disciplina procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale (come rifusione della precedente normativa e delle modifiche apportate), aumenta le garanzie di difesa e limita la discrezionalità della polizia nell’ammissione alla procedura, dettando norme più favorevoli per i minori non accompagnati e i soggetti vulnerabili, ma amplia le ipotesi di trattenimento amministrativo (art. 8-11), lasciando ampia discrezionalità al legislatore nazionale nello stabilire i casi, ma in generale solo quando occorra procedere alla identificazione. Rimane soltanto una affermazione, in via di principio, che la proposizione di una istanza di asilo non giustifica la detenzione amministrativa dei richiedenti protezione internazionale. Per trattenimento, da sottoporre comunque alla convalida giurisdizionale, la Direttiva intende però qualsiasi forma di “confinamento che limiti la libertà di circolazione”, e non la libertà personale, come avviene in Italia nei casi di detenzione amministrativa nei Cie o nei nuovi centri informali. Tra i “Considerando”, la nuova Direttiva stabilisce, in particolare, che èopportuno che ciascun richiedente abbia un accesso effettivo alle procedure, l’opportunità di cooperare e comunicare correttamente con le autorità competenti per presentare gli elementi rilevanti della sua situazione, nonché disponga di sufficienti garanzie procedurali per far valere i propri diritti in ciascuna fase della procedura. Inoltre, è opportuno che la procedura di esame di una domanda di protezione internazionale contempli di norma per il richiedente almeno: il diritto di rimanere in attesa della decisione dell’autorità accertante; la possibilità di ricorrere a un interprete per esporre la propria situazione nei colloqui con le autorità; la possibilità di comunicare con un rappresentante dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e con altre organizzazioni che prestano consulenza e assistenza ai richiedenti protezione internazionale; il diritto a un’appropriata notifica della decisione e della relativa motivazione in fatto e in diritto; la possibilità di consultare un avvocato o altro consulente legale; il diritto di essere informato circa la sua posizione giuridica nei momenti decisivi del procedimento, in una lingua che capisce o è ragionevole supporre possa capire; e, in caso di decisione negativa, il diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice“.

La Direttiva 2013/33/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 giugno 2013, come “rifusione”, stabilisce nuove norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale e sulla detenzione amministrativa, che viene previsto quando occorra la identificazione, seppure entro termini assai brevi. Mentre in precedenza il trattenimento era disciplinato nell’ambito della direttiva sulle procedure 2005/85/Ce, adesso la sede principale di questa disciplina si trova maggiormente collegata con la normativa in materia di accoglienza. Entro due anni (luglio 2015) le Direttive dovranno essere attuate nell’ordinamento interno, mentre i Regolamenti sono immediatamente operativi, anche se per talune previsioni sono stabiliti termini diversi. I giudici interni possono già applicare la disciplina vigente richiamando i criteri interpretativi delle Direttive, e soprattutto dei nuovi Regolamenti, e possono sollevare a tale proposito questioni pregiudiziali alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, sospendendo i procedimenti interni in attesa di una sentenza della Corte di Lussemburgo. Nel frattempo questa Corte ha emesso una importante decisione che riguarda l’applicazione della Direttiva sui rimpatri 2008/115/Ce dopo una richiesta di protezione internazionale, in uno dei tanti casi nei quali, negli stati dell’Unione Europea, la condizione dei richiedenti asilo era soggetta alle stesse restrizioni della libertà personale, come il trattenimento nei centri di detenzione, previste per gli immigrati irregolari in attesa di espulsione o di respingimento. La Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella causa Arslan (C-534/11), in coerenza con le Direttive appena approvate, ha stabilitoche il solo fatto che un richiedente asilo, al momento della proposizione della sua domanda, sia oggetto di un provvedimento di allontanamento e che sia disposto il suo trattenimento in base all’articolo 15 della direttiva 2008/115 non permette di presumere, senza una valutazione caso per caso di tutte le circostanze pertinenti, che egli abbia presentato tale domanda al solo scopo di ritardare o compromettere l’esecuzione della decisione di allontanamento e che sia oggettivamente necessario e proporzionato mantenere il provvedimento di trattenimento”. Per la Corte di Giustizia, in definitiva, non è astrattamente esclusa la possibilità della detenzione amministrativa per i richiedenti asilo o altra forma di protezione, che le stesse direttive di recente approvazione pure prevedono, ma:

1)  “L’articolo 2, paragrafo 1, della direttiva 2008/115/Ce del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, in combinato disposto con il considerando 9 di quest’ultima, deve essere interpretato nel senso che tale direttiva non è applicabile al cittadino di un paese terzo che ha presentato una domanda di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2005/85/Ce del Consiglio, del 1° dicembre 2005, recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, e ciò durante il periodo che intercorre tra la presentazione di tale domanda e l’adozione della decisione dell’autorità di primo grado che si pronuncia su tale domanda o, eventualmente, fino all’esito del ricorso che sia stato proposto avverso tale decisione.

2) La direttiva 2003/9/Ce del Consiglio, del 27 gennaio 2003, recante norme minime relative all’accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri, e la direttiva 2005/85 non ostano a che il cittadino di un paese terzo, che abbia presentato una domanda di protezione internazionale ai sensi della direttiva 2005/85 dopo che sia stato disposto il suo trattenimento ai sensi dell’articolo 15 della direttiva 2008/115, continui ad essere trattenuto in base ad una norma del diritto nazionale qualora appaia, in esito ad una valutazione individuale di tutte le circostanze pertinenti, che tale domanda è stata presentata al solo scopo di ritardare o compromettere l’esecuzione della decisione di rimpatrio e che è oggettivamente necessario che il provvedimento di trattenimento sia mantenuto al fine di evitare che l’interessato si sottragga definitivamente al proprio rimpatrio.

Dall’Europa provengono dunque nuove ipotesi di trattenimento amministrativo dei richiedenti asilo, ma anche maggiori garanzie contro il rischio di allontanamento forzato. La decisione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha preceduto di pochi giorni l’ordine interinale con il quale la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha imposto a Malta di sospendere due voli di respingimento verso la Libia di immigrati somali ed eritrei, ai quali questo paese aveva negato accesso alla procedura o aveva respinto l’istanza di protezione. E sulla stessa vicenda un richiamo assai duro al governo maltese è stato rivolto dalla Commissaria Europea agli affari interni Cecilia Malmström che ha ribadito il divieto di respingimenti verso la Libia.

In Italia già oggi non esiste, almeno sulla carta, alcun impedimento formale all’accesso alla procedura di protezione internazionale e qualunque intenzione di chiedere asilo, anche se manifestata con comportamenti concludenti o a gesti, deve essere verbalizzata dalle autorità di polizia che, a partire dal decreto legislativo n. 25 del 2008, non hanno più alcun potere discrezionale nel valutare una domanda come manifestamente infondata. Il trattenimento dei richiedenti asilo nei centri di primo soccorso ed accoglienza, o nei centri di identificazione, successivamente alla formalizzazione della domanda di asilo e nelle more dell’esame amministrativo della stessa, per i tempi assai prolungati e per l’assenza di garanzie procedurali, si pone invece in contrasto, oltre che con la disciplina dell’Unione Europea, recentemente riformata, con la normativa vigente in materia di accoglienza dei richiedenti asilo, disciplinata dal D.Lgs 140/05 e  D.Lgs 25/08 come poi riformato dal D.Lgs. 159 dello stesso anno. L’accoglienza dei richiedenti asilo, al di là delle ipotesi di invio presso la rete del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, può avvenire, nelle ipotesi tassativamente indicate dall’art. 20 comma 2 lettere a, b e c del D.Lgs 25/08, solamente presso i Cara (centri di accoglienza per richiedenti asilo), ovvero, se occorre il trattenimento amministrativo, nelle ipotesi disciplinate dall’art. 21 del citato D.Lgs 25/08 nei Cie (centri di identificazione ed espulsione).

In base all’art. 23 del Regolamento di attuazione n. 394 del 1999, le attività di prima accoglienza e soccorso e quelle svolte per esigenze igienico-sanitarie, si possono svolgere infatti anche al di fuori dei centri di identificazione ed espulsione, ma solo “per il tempo strettamente necessario all’avvio dello stesso ai predetti centri o all’adozione dei provvedimenti occorrenti per l’erogazione di specifiche forme di assistenza di competenza dello Stato”. Non risulta pertanto possibile utilizzare i centri di primo soccorso ed accoglienza, come quello di Contrada Imbriacola a Lampedusa, di Pozzallo a Ragusa, o di Cagliari Elmas, o i centri di identificazione ed espulsione, come quello di Milo a Trapani, come “centri di accoglienza” per richiedenti asilo o come centri di identificazione, poiché non presentano i requisiti previsti dalla legge, sono centri nei quali si possono realizzare limitazioni della libertà personale sottratte a qualsiasi controllo del giudice e non risulta alcuna garanzia sul fatto che in questi luoghi venga assicurata, in linea con gli standard europei, l’erogazione dei necessari servizi di supporto, consulenza legale ed orientamento, con particolare attenzione ai presunti minori ed alle situazioni maggiormente vulnerabili.

Fulvio Vassallo Paleologo Università di Palermo