Mercato San Severino

Una storia disonesta

- 14 Luglio 2013

Zohur è ammalata, ma è costretta a lavorare da finti poliziotti. E Mhand, il suo compagno, viene picchiato perché cerca di difenderla.

«Questa è una storia di autoritarismo, sfruttamento e delinquenza. Non di razzismo tout court. Anche se, probabilmente, se i bersagli fossero stati italiani, le cose sarebbero andate diversamente», dice Halim, che attualmente lavora come collaboratore domestico ma dovrebbe presto tornare a fare il mediatore culturale. Vive in Italia da parecchi anni. Ha lavorato prima al nord e poi, quando la crisi ha cominciato a mordere, si è trasferito in Campania, nell’agro sarnese-nocerino, dove si svolge la storia di cui sopra. I protagonisti sono Ait Younes Mhand e Nabil Zohur, una coppia marocchina, residente a Mercato San Severino, in provincia di Salerno, un comune che conta circa 21 mila abitanti. «Zohur lavorava  in una pasticceria, in nero naturalmente e anche per 16 ore di seguito, per circa 30 euro al giorno, stressata e stremata dal lavoro. A un certo momento le condizioni di malessere si fanno tali da impedirle di lavorare. Il medico a cui si rivolge la mette a riposo e lei, nonostante la malattia ovviamente non le venga pagata, decide di restare a casa. Intorno alle 11 del mattino riceve la telefonata della titolare del laboratorio-negozio, che le chiede spiegazioni. Zohur dice di sentirsi male ma, dall’altra parte, ci sono troppi ordini da smaltire e la titolare non sembra disposta a sentire ragioni. Zohur risponde comunque no: sta male, non andrà. La titolare l’avvisa: “ti veniamo a prendere”. Pochi minuti dopo, alla porta di casa sua bussano due uomini che mostrano frettolosamente un portafoglio (sic!) e si qualificano come poliziotti. Mhand, che era andato ad aprire, viene spinto dentro e i due fanno irruzione. Zohur stava andando a fare la doccia. La obbligano a vestirsi e a seguirli. La portano quindi in… pasticceria, intimandole di lavorare. Ma Mhand, preoccupato e insospettito, decide di rivolgersi alla vicina stazione dei Carabinieri. Questi lo ascoltano e gli consigliano di andare in pasticceria e tentare di risolvere pacificamente la controversia. Mhand segue il consiglio, ma mentre sta parlando con la titolare, ecco che i due sedicenti poliziotti lo raggiungono alle spalle e cominciano a colpirlo. Lui scappa ma il pestaggio continua per strada, nell’indifferenza più assoluta».

Halim racconta questa storia con rabbia profonda, soprattutto verso chi ha taciuto o si è voltato dall’altra parte, per paura o altre ragioni. «La notizia è finita sui giornali. Mhand è andato avanti con la denuncia, gli aggressori prima hanno chiesto di non essere rovinati, poi sono passati alle intimidazioni, infine hanno messo in circolazione una loro ricostruzione dei fatti: sarebbe stato Mhand a impedire a Zohur di andare a lavorare, e per questo l’avrebbe legata al letto. I finti poliziotti sarebbero andati a liberarla. Poi Mhand avrebbe tentato di aggredire i proprietari della pasticceria, e loro sarebbero intervenuti ancora una volta, a fin di bene, per fermarlo. Fatto sta che la coppia viveva a Mercato San Severino da 1 anno e mezzo, e la versione dello schiavismo famigliare risulta priva di riscontri. I vicini conoscevano Zohur e sapevano che era brava a far dolci e che spesso li portava anche a domicilio».

Zohur e Mhand adesso hanno deciso di lasciare, ma in Paese, dai connazionali e dagli antirazzisti, è stato organizzato un sit-in domenicale nella piazza centrale, per far conoscere la storia e soprattutto utilizzarla come spunto per avviare una riflessione più ampia, sulle condizioni in cui si trovano gli immigrati nell’agro sarnese-nocerino, un’area ad alto tasso di sfruttamento del lavoro migrante. La manifestazione è stata organizzata autonomamente dai migranti, anche se il sindacato Usb sta organizzando i pullman perché il territorio è vasto e mal collegato. La proposta di fare la manifestazione è divenuta tema di dibattito anche nelle moschee e questo potrebbe far aumentare la partecipazione, ma la cosa da fastidio: siamo in terra di camorra, non è consentito a chi deve solo lavorare, organizzarsi e alzare la testa.

Stefano Galieni