Cie e dintorni

Chi "paga" il massimo ribasso

- 21 Luglio 2013

Il lavoro nei centri è delicato e di grande responsabilità. Ma agli operatori non sono richieste particolari competenze. Questo risparmio ha un prezzo elevato. E a pagarlo sono i migranti.

Si parla molto di accoglienza, ma solo raramente della “qualità” dell’accoglienza, cioè dei primi passaggi, quella procedura che dovrebbe favorire l’inserimento di richiedenti asilo e rifugiati, proteggere e supportare i minori non accompagnati, offrire un luogo ed una vita accettabile a chi attende di essere identificato e/o espulso. Tutte queste situazioni sono sotto la responsabilità economica, oltre che giuridica, del Ministero dell’Interno che, attraverso le Prefetture, indìce regolarmente delle gare di appalto per la gestione dei vari centri. 
C’è una sola regola, in queste gare: vince chi si offre a meno. Con la conseguenza che la qualità dell’offerta scade sempre più.
Da questo punto di vista non ci sono differenze significative tra nord e sud Italia, tanto che ora a condurre il gioco sono cooperative che spesso nulla hanno a che fare con l’assistenza o che hanno avuto esperienze. Corriere Immigrazione ne ha parlato giusto una settimana fa: la Clean Service, a Siracusa, che gestisce l’accoglienza dei migranti accolti presso l’ospedale Umberto I, si occupa essenzialmente di… pulizie! Il Consorzio Oasi, sempre di Siracusa, già messo sotto accusa per la gestione dei Cie di Modena, Trapani e Bologna, è dato in pole position per l’acquisizione di quello di Milano. Perché mai quattro Cie in mano all’Oasi? Probabilmente perché è l’unico che partecipi alla gara accettando di tenere in gabbia, 60, 100 persone, in cambio di 29 euro a testa, senza offrire niente di quello che sarebbe dovuto nel rispetto dei diritti umani.
Ma non c’è molta differenza tra nord e sud anche nell’accoglienza dei minori non accompagnati. Ne arrivano sempre di più ed è obiettivamente difficile per ogni Prefettura trovare comunità idonee ad ospitarli. Così, in Sicilia vengono affidati a imprese di pulizie, riciclate in “gestori di centri di accoglienza”, mentre a Milano (la meta preferita per i minori in fuga) ad accoglierli realmente è… la strada. Quando la Polizia li ferma, li porta solitamente in un centro di accoglienza “aperto a tutti”. Un centro con 400 posti letto, dove restano finché il Comune non trova una comunità dove inserirli. Spesso restano nel centro per mesi, abbandonati a se stessi, e la comunità non la vedono mai. Raggiungono la maggiore età, diventando clandestini a tutti gli effetti. Nessuno li segue, non imparano l’italiano, non sono in grado di inserirsi in nessuno modo nel tessuto sociale della città, frequentano la Stazione Centrale e diventano in tempi brevi consumatori e/o venditori di droga.
Prendiamo per buono il fatto che non ci sono più soldi (eppure milioni di euro sono stati elargiti fuori controllo nel corso dell’Emergenza Nord Africa) e che la spending review debba essere applicata anche qui: ma è accettabile il fatto che nessuna particolare competenza venga richiesta agli operatori di Cara, Cie e dintorni? Alcuni tra loro sono bravissimi e motivati, ma è un fatto casuale non un criterio adoperato nella scelta. Eppure, le situazioni con cui questo personale deve misurarsi quotidianamente sono molto delicate e richiederebbero una formazione specifica. Così come strumenti ben definiti (la psicologia transculturale di cui mi è capitato di scrivere spesso recentemente) dovrebbero essere in dotazione dei medici e degli psicologi che prestano servizio all’interno. Ma sappiamo che così non è. Purtroppo.

Rosamaria Vitale