Apolidi

I migranti invisibili

- 27 Luglio 2013

ApolideSono circa 800 in Italia gli stranieri riconosciuti come “apolidi”, cioè privi di cittadinanza. Ma il sommerso potrebbe riguardare migliaia di persone

L’articolo di Barbara Beneforti richiama l’attenzione su un fenomeno spesso dimenticato, e che pure coinvolge alcune migliaia di persone nel nostro paese. Stiamo parlando degli “apolidi”, cioè di coloro che non sono riconosciuti come cittadini da nessuno Stato.

Essere “cittadini di nessun luogo” significa non poter avere né passaporti né documenti di identità: per definizione, infatti, i documenti devono essere richiesti alle autorità del proprio paese, e gli apolidi non hanno un “proprio paese”. In un mondo dove essere identificati è la condizione per usufruire di diritti, chi non ha cittadinanza finisce per diventare un vero e proprio “fantasma”: non può avere un permesso di soggiorno, né iscriversi all’anagrafe, e nemmeno accedere ad alcuni servizi essenziali.

In teoria, l’apolide gode di una gamma molto ampia di diritti. La Convenzione di New York, ratificata anche dall’Italia, prevede che siano gli Stati ospitanti a rilasciare un documento di identità e un titolo di viaggio (l’equivalente del passaporto), oltre che uno speciale permesso di soggiorno. Questi diritti valgono per chi è effettivamente riconosciuto come apolide: ma proprio la procedura di riconoscimento è complicata, farraginosa e del tutto irrealistica.

Per quanto riguarda l’Italia, l’accesso allo status di apolide è regolato dall’art. 17 del DPR 572 del 1993. Secondo questa norma, per dimostrare la condizione di “persona senza cittadinanza” il richiedente deve esibire i certificati di nascita del proprio paese di origine, e deve essere regolarmente residente in Italia. Si tratta di un vero e proprio circolo vizioso, perché per essere residenti bisogna avere un passaporto e un permesso di soggiorno: chi è apolide, come abbiamo visto, non ha in tasca alcun documento di identità, e quindi non può iscriversi all’anagrafe…

Esiste anche una procedura di accertamento di tipo “giurisdizionale”, cioè affidata ai giudici. Non c’è però nessuna legge che regoli questa procedura, quindi tutto dipende dalla giurisprudenza, e spesso dall’opinione personale del singolo magistrato.

Come spiega un recente dossier curato dalla Fondazione Basso e dalla Open Society Foundation, «in Italia, fra gli apolidi, vi sono persone sfuggite ai conflitti interetnici in Ruanda, palestinesi provenienti dai territori occupati, esuli politici (specialmente di provenienza cubana)». Il maggior numero di apolidi è però costituito da Rom dell’ex Jugoslavia, che spesso hanno perso la cittadinanza a seguito dei conflitti etnici nei loro paesi (nelle fantasie di molti leader nazionalisti, i rom erano e sono percepiti come estranei e nemici, dunque non meritevoli di essere considerati cittadini).

Per quanto possa sembrare incredibile, non esistono statistiche ufficiali sul fenomeno. Secondo alcune stime, gli apolidi ufficialmente riconosciuti in Italia sarebbero circa 800, mentre il sommerso sarebbe molto più elevato e di difficile quantificazione.

Sergio Bontempelli