Diritto alla salute

C’era una volta. E adesso?

- 28 Luglio 2013

Cure sanitarie a un migranteL’accordo Stato-Regioni, dello scorso dicembre, garantiva cure e assistenza a tutti i migranti, inclusi gli irregolari. Ma è rimasto lettera morta 

«C’era una volta…». Le fiabe per bambini, si sa, sono ambientate in un tempo remoto e irreale, dove la memoria si confonde con la fantasia e con l’invenzione narrativa. Nel nostro caso, però, tutto è molto concreto e vicino a noi: perché la storia che stiamo per raccontarvi – potremmo intitolarla «c’era una volta il diritto alla salute» – comincia meno di un anno fa, il 20 dicembre 2012.
Quel giorno viene firmato uno storico accordo tra lo Stato e le Regioni (ne abbiamo parlato anche su Corriere Immigrazione), che garantisce l’assistenza sanitaria a tutti i migranti, regolari e irregolari, comunitari e non.
Soprattutto, l’accordo prevede clausole specifiche sui minori: i bambini dovranno essere iscritti al Servizio Sanitario e usufruire del pediatra di libera scelta, indipendentemente dalla loro condizione giuridica. Quindi, non si dovranno fare distinzioni tra minori “accompagnati” (che cioè vivono in Italia assieme ai propri genitori) e “non accompagnati”, tra comunitari e stranieri extra-Ue, né tantomeno tra “regolari” e “irregolari” (come ci insegnano i giuristi, i minorenni non possono essere espulsi, e sono dunque regolari per definizione, anche quando non hanno il permesso di soggiorno). Quell’accordo, però, deve essere tradotto in leggi, provvedimenti e delibere regionali: altrimenti, rischia di rimanere lettera morta. E qui, come si suol dire, casca l’asino: perché molte Regioni non sembrano particolarmente interessate a muoversi.

L’accordo disatteso: i casi della Lombardia e del Friuli
Agli inizi di luglio, il Consiglio Regionale della Lombardia boccia una mozione che avrebbe esteso l’assistenza pediatrica di base anche ai figli di immigrati senza permesso di soggiorno (ne abbiamo parlato diffusamente in un articolo del 7 luglio scorso). Presentata da Umberto Ambrosoli (Patto civico), la mozione recepiva proprio le indicazioni della Conferenza Stato-Regioni, ed è stata bocciata per la ferma contrarietà di Lega e PdL.
Ma le resistenze non vengono solo dalla Lombardia. Almeno a giudicare dal comunicato diffuso in questi giorni dalla Rete Diritti di Cittadinanza del Friuli-Venezia Giulia, che fa il punto sulla situazione creatasi in quella regione. Alla fine di giugno, spiegano gli attivisti della Rete, la Giunta approva una delibera per recepire l’accordo Stato-Regioni, e pochi giorni dopo l’assessora Telesca invia una nota a tutte le strutture sanitarie per sollecitarne l’applicazione. Ma i problemi restano aperti.
Le situazioni più gravi si registrano a Gorizia e a Pordenone, dove non esiste alcun servizio ambulatoriale per i migranti irregolari. A Pordenone, in particolare, un piccolo ambulatorio gestito dalla Caritas, e convenzionato con il Servizio Sanitario, è stato chiuso tre anni fa, e nessuno ha mai pensato di riaprirlo. Si trattava, tra l’altro, di una struttura quasi a costo zero, perché i medici che vi operavano erano volontari non retribuiti: le uniche spese erano quelle per i farmaci e le attrezzature.

La situazione a livello nazionale
Se dalle zone dell’«operoso Nord-Est» – Lombardia e Friuli – ci si sposta al piano nazionale, la situazione non migliora. Al contrario. Come spiega Salvatore Geraci in un documentato dossier sul tema, ad oggi l’accordo del 20 dicembre 2012 è stato ratificato formalmente solo da sei regioni (Lazio, Puglia, Campania, Calabria, Liguria, Friuli-Venezia Giulia) e da una provincia autonoma (Trento). E anche chi ha ratificato l’accordo non ha introdotto alcuna novità sostanziale: si è limitato ad approvare una delibera, e nulla di più.
Per quanto riguarda i minori, prima dell’approvazione dell’Accordo solo sei Regioni prevedevano una vera e propria copertura sanitaria per i figli degli irregolari. E le cose, per ora, non sono affatto migliorate. Le resistenze sono moltissime, soprattutto negli apparati burocratici: la vigorosa campagna del centro-destra (all’insegna del “vogliono curare i clandestini a spese nostre”) ha giocato un ruolo negativo in tutta questa vicenda.

Assistenza sanitaria per tutti, quanto ci costa?
Ecco, proprio la questione del “vogliono curare i clandestini a spese nostre” merita un piccolo approfondimento. Quanto costa ai contribuenti l’Accordo Stato-Regioni? È forse una spesa che non possiamo permetterci in tempi di crisi, come lasciano intendere i politici del centro-destra?
Il già citato articolo di Salvatore Geraci fornisce qualche dettaglio utile per capire meglio come stanno le cose. «Il costo medio del ricovero per i minori stranieri non residenti», dice lo storico animatore della Società Italiana di medicina delle Migrazioni, «è significativamente più alto rispetto ai minori italiani e agli stranieri residenti: 1,07 versus rispettivamente 0,71 e 0,73. Anche la durata media di degenza è quasi doppia: 8,5 giorni rispetto ai 4,7 giorni degli italiani e 5,7 degli stranieri residenti».
I minori stranieri non residenti, dunque, “costano” di più. E ciò accade perché molti di loro non hanno diritto al pediatra, non hanno accesso alla prevenzione sanitaria né alle visite specialistiche, e non si curano al primo insorgere di una patologia: spesso, dunque, finiscono per andare al Pronto Soccorso quando le loro condizioni sono già critiche. Per questo i ricoveri sono mediamente più lunghi, i trattamenti medici più complessi, e i costi a carico del Servizio Sanitario più alti.
La morale della favola, per chi la vuol capire, è chiarissima: garantire il pediatra e l’assistenza sanitaria ai minori figli di irregolari costerebbe meno. Ma questo, per chi ragiona solo con gli slogan, è difficile da capire…

Sergio Bontempelli