Accoglienza

Eppure qualcosa si muove

- 1 Settembre 2013

Intervista a Daniela Di Capua, direttrice del Servizio Centrale dello Sprar. A giorni uscirà il nuovo bando che prevede un aumento sostanziale dei posti. Non una rivoluzione, ma comunque un passo avanti.

Il Progetto Sprar, cioè il Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati (ma anche delle altre tipologie di protezione internazionale) dovrebbe essere notevolmente ampliato: dai 3.000 posti attuali si passerà con ogni probabilità almeno a 8.000. Ma sembra possibile che si arrivi a 16 mila. Questa estensione permetterà di avere una maggiore possibilità di trovare accoglienza nel nostro Paese. Ed è significativa, anche in vista dei nuovi scenari di crisi in Egitto e dell’acuirsi del conflitto in Siria. Probabilmente non sarà, ancora una volta, sufficiente (il nostro sistema di accoglienza è e rimane inadeguato, si vedano al riguardo gli articoli 1 e 2 a firma di Fulvio Vassallo Paleologo), ma dimostra quantomeno la volontà da parte del Ministero dell’Interno di adeguare il sistema alle richieste. Fino ad oggi si era agito nel modo opposto, pretendendo di adeguare le richieste al sistema. Non solo: per la prima volta in Italia si darebbe all’arrivo dei profughi sulle nostre coste una risposta non emergenziale. Ne parliamo con Daniela Di Capua, direttrice del Servizio Centrale dello Sprar.

È confermato l’aumento dei posti?

«Sembrerebbe di sì, ma fino a una conferma ufficiale non è possibile dare una risposta affermativa. Si tratterebbe in gran parte di posti già disponibili. Attualmente ne sono attivi circa 7.500, creati gradualmente a partire dallo scorso dicembre (quando era imminente la chiusura dell’Emergenza Nord Africa) allargando i progetti esistenti sul territorio. Il bando formalizza questo ampliamento. Molti posti saranno riconfermati, altri saranno nuovi».

Avremo una maggiore copertura del territorio?
«Ricordiamo che l’adesione allo Sprar da parte degli enti locali è su base volontaria. E infatti ci sono regioni, come la Val d’Aosta, dove al momento non abbiamo progetti. Altre, la Sardegna per esempio, che hanno dato poca disponibilità. Per contro, ci sono regioni come Sicilia, Emilia Romagna, Puglia e Toscana che sono molto coperte. Nelle regioni più abitate c’è una buona proporzionalità rispetto alla popolazione.

I posti attivati in realzione all’Emergenza Nord Africa potrebbero rientrare in questo allargamento?
«In linea di principio no, perché gli standard relativi all’Ena sono stati diversi da quelli che rigurdano lo Sprar. Ma  alcune regioni (Umbria, Toscana, Emilia Romagna…) hanno scelto deliberatamente di seguire gli standard Sprar. In questo caso la possibilità esiste».

L’allargamento porterà a un ripensamento del sistema?
«Dovrebbe. Bisognerà anche noi ripensare a come organizzarci anche internamente per dare il giusto sostegno e fare un monitoraggio efficace. Per questo è fondamentale il tavolo di confronto istituzionale che è stato attivato dal Viminale più o meno un anno fa, a ridosso della conclusione dell’Ena. Ne fanno parte comuni, provincie, regioni, il ministero dell’Interno, quello del Lavoro e recentemente è entrato anche quello dell’Integrazione. È importante. È la prima volta che c’è la volontà da parte delle istituzioni di condividere le decisioni sul sistema di accoglienza».

Negli ultimi tempi è successo che gruppi di persone provenienti da Paesi in guerra si rifiutassero di rilasciare le impronte digitali per evitare di restare “intrappolate” in Italia.
«È un fatto grave, che attesta la problematicità della situazione. Ci sono sicurmente due ordini di questioni da considerare. Il primo: dal punto di vista numerico, non abbiamo molto da chiedere all’Europa, perché le richieste d’asilo che ci arrivano sono inferiori a quelle di altri Paesi. Il secondo: per le ragioni più disparate, l’Italia rappresenta in moltissimi casi una meta di transito per i motivi più disparati. Sarebbe auspicabile rivedere a livello europeo le regole per rapportarsi a queste persone a cui in teoria tutti riconosciamo il diritto di rifarsi una nuova vita, ma che in pratica spesso si trovano ostacolate nel loro percorso».

I recenti cambiamenti apportati al sistema Dublino non sono sufficienti?
«A mio avviso dovrebbero essere varate alcune norme europee che prevedano un intervento unitario dove ci sono casi particolari per uno, più stati membri. La posizione geografica dell’Italia rispetto all’Europa fa si che si rimanga particolarmente esposti a fenomeni migratori massivi per mare, in cui molti rischiano e perdono la vita. Ci capitano persone che sono state dieci anni in un altro Stato e che poi vengono rimandate a forza in Italia, dove devono ricominciare da capo. Così si spezza una vita una seconda volta».

L’ampliamento dello Sprar rappresenta una soddisfazione e un riconoscimento per chi ci lavora?
«Sono dieci anni che ci battiamo per un sistema unico da accoglienza, rapido, efficace e chiaro, che permetta una reale integrazione. L’allargamento rappresenta un passo in questa direzione».

Francesca Materozzi