Decreto del fare

Ius soli, piccole buone notizie

- 1 Settembre 2013

Agevolazioni per i nati in Italia che chiedono la cittadinanza. E una lettera che i Comuni devono inviare agli aventi diritto.

Tecnicamente si chiamerebbe “decreto-legge recante disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia”. Tutti però lo conosciamo con il nomignolo che gli è stato affibbiato da giornali e televisioni: “decreto del fare”. Stiamo parlando del testo normativo che, varato dal Governo alcuni mesi fa, è approdato alle Camere, dove è stato convertito in legge il 9 agosto scorso. Dentro, ci si trova un po’ di tutto: dal pagamento dei debiti della Pubblica Amministrazione agli incentivi in materia edilizia, dallo sblocco dei cantieri delle grandi opere ai contributi per la ricerca, dalla sicurezza stradale alle bollette dell’elettricità. Non tutto, magari, ma almeno di tutto… Tra i vari commi, nascosti in un testo così ampio, ce n’è uno particolarmente interessante per noi: la norma che introduce agevolazioni per chi, nato in Italia da genitori stranieri, intenda acquisire la cittadinanza. Vediamo più da vicino.

Il problema: la residenza ininterrotta

I lettori assidui di Corriere Immigrazione conoscono bene il problema: ne abbiamo parlato diffusamente in altri articoli (ad esempio qui). Facciamo dunque una brevissima sintesi per i frequentatori non abituali di questo sito. E anche per quelli distratti. Come sappiamo, il bambino nato in Italia da genitori stranieri è considerato straniero: la cittadinanza, infatti, si acquisisce non per nascita ma per “discendenza”, cioè se almeno uno dei due genitori è italiano. Chi viene al mondo sul suolo italico, tuttavia, può comunque diventare cittadino: deve arrivare alla maggiore età e, alla presentazione della domanda, deve dimostrare di aver risieduto sul territorio nazionale senza interruzioni (cioè, di nuovo, per diciotto, lunghissimi anni…).

Qui nasce il problema. Può accadere infatti che un giovane abbia perso la residenza per brevi periodi. Per esempio perché i genitori non hanno potuto rinnovare il permesso di soggiorno. O perché il vigile è passato da casa, non ha trovato nessuno e in un eccesso di zelo ha avviato la pratica di cancellazione anagrafica. Cose che in diciotto, lunghissimi anni  possono capitare. E così, per una banalità burocratica un ragazzo può essere “condannato” a rimanere straniero: anche se è nato qui, se qui ha fatto le scuole, ha lavorato e lavora, si è sposato e ha messo su famiglia.

La soluzione: colmare i “vuoti” anagrafici

Come rimediare, dunque, a questa “banalità burocratica”? Almeno in un caso del genere, la soluzione è relativamente semplice: si tratta di fare in modo che la burocrazia si comporti in modo ragionevole. Guardando alla luna (al senso generale della normativa) e non al dito (ai dettagli da azzeccagarbugli); al dato di fatto (la presenza continuativa in Italia), e non alle scartoffie degli uffici (la scheda anagrafica custodita in Comune).

Per la verità, qualche passo avanti era stato fatto in questa direzione. Nel 2007, ad esempio, l’allora Ministro dell’Interno Giuliano Amato aveva emanato due circolari. La prima riconosceva la residenza ininterrotta anche in caso di brevi assenze dal territorio; la seconda chiariva che «l’iscrizione anagrafica tardiva del minore potrà considerarsi non pregiudizievole ai fini dell’acquisto della cittadinanza italiana».

La legge appena approvata in Parlamento non prevede particolari novità in proposito: ma, per l’appunto, trasforma in legge ciò che finora era scritto in circolari, indicazioni ministeriali, sentenze di tribunali. Ai fini dell’acquisizione della cittadinanza, si legge nel “decreto del fare”, allo straniero «non sono imputabili eventuali inadempimenti riconducibili ai genitori o agli uffici della Pubblica Amministrazione, ed egli può dimostrare il possesso dei requisiti con ogni idonea documentazione».

In altre parole: se nei diciotto, lunghissimi anni di attesa, lo straniero nato in Italia è stato cancellato dai registri anagrafici, potrà comunque prendere la cittadinanza, se sarà in grado di provare la sua presenza continuativa in Italia. E a tale scopo potrà far valere – solo per fare un esempio – i certificati di frequenza scolastica.

Una norma di buon senso, quindi, che non introduce particolari novità, ma che almeno obbliga la Pubblica Amministrazione a guardare alla luna, e non al dito. Un passo avanti.

Una lettera del Comune: “ora puoi diventare italiano”

La legge, ce lo hanno insegnato da piccoli, non ammette ignoranza. Eppure spesso i ragazzi nati nel nostro paese non sanno che possono diventare italiani: così, al compimento della maggiore età non presentano la domanda, e restano stranieri (ricordiamo che la richiesta di cittadinanza va presentata entro il compimento dei diciannove anni).

Il “decreto del fare” introduce anche in questo caso una novità piccola, ma significativa. L’art. 33 obbliga gli ufficiali di stato civile ad inviare una lettera a tutti i ragazzi nati in Italia, e che stanno per compiere i fatidici diciotto anni, per informarli dei loro diritti e della possibilità di chiedere la cittadinanza. Si tratta di un’iniziativa già sperimentata in alcuni Comuni (tra i quali Milano), e fatta propria anche dall’Anci. Da oggi, però, si tratta di una vera e propria legge dello Stato, e non della generosa sperimentazione di qualche Sindaco “illuminato”.

Nulla di straordinario, dunque: la normativa in materia di cittadinanza resta ancorata al principio tristemente noto dello ius sanguinis. E i bambini nati in Italia resteranno per lo più stranieri. Abbiamo però fatto un passo avanti. Piccolo, ma in avanti.

Sergio Bontempelli