Profughi e tv

Missione vergogna

- 1 Settembre 2013

A proposito del docu-show progettato da Rai 1 per raccontare agli italiani la vita quotidiana in un campo profughi.

The Mission
, cioè un programma in due puntate nel quale personaggi come Albano, Michele Cocuzza ed Emanuele Filiberto dovrebbero mostrare cosa significhi vivere in un campo profughi della Repubblica democratica del Congo, del Sud Sudan, del Mali. I vip in questione, per due settimane, dovrebbero cimentarsi nel lavaggio delle stoviglie, nel supporto ai profughi, nelle azioni che quotidianamente compiono gli operatori delle organizzazioni umanitarie che da anni presidiano quei territori.
Uso il condizionale perché dopo le numerose polemiche e le varie prese di posizione, anche politiche, la messa in onda di questo reality, da parte di Rai 1, potrebbe essere seriamente messa in discussione.

Il caso è esploso in seguito ad una petizione on-line lanciata da Andrea Casale, studente che a Parma si occupa di diritti dei migranti. Casale definisce The Mission uno “spettacolo grottesco ed umiliante” e ne chiede l’immediata cancellazione dai palinsesti. Non sono mancate le repliche e le prese di posizione a cominciare dalle più alte cariche dello Stato. Laura Boldrini, Presidente della Camera, in una lettera a Repubblica spiega: «[…]L’anno scorso, in qualità di portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), partecipai ai primi contatti con la Rai. […]Si ipotizzò una trasmissione che avesse l’obiettivo di rendere più comprensibile all’opinione pubblica italiana la condizione vera dei rifugiati, troppo spesso e troppo sbrigativamente raffigurati come una minaccia alla nostra sicurezza. In particolare venne da me suggerito un format australiano, molto apprezzato, in cui ad essere coinvolte erano persone comuni, con idee molto diverse tra loro in tema di asilo, e comunque non certo vip».
Secondo Roberto Fico, presidente della Commissione di vigilanza della Rai, «si tratta di tematiche e contenuti meritevoli senza dubbio dell’attenzione dell’opinione pubblica e che dovrebbero essere trattati con serietà e sobrietà. Tuttavia sarebbe opportuno valutare e verificare se il linguaggio di trasmissioni televisive come i reality sia quello adeguato a raccontare il dramma di chi è costretto a fuggire dal proprio paese a causa di guerre e persecuzioni […]». Fico chiede di poter vedere la puntata zero. Intanto, il deputato Vinicio Peluffo (Pd) ha presentato un’interrogazione urgente nella quale chiede al presidente e al direttore della Rai «se ritengano veramente necessario confermare un programma basato sulla spettacolarizzazione del dolore». Ma Tullio Camiglieri, autore insieme ad Antonio Azzalini, risponde alle polemiche sostenendo che «sarà uno degli esperimenti più avanzati del servizio pubblico, ed è un format tutto italiano che già quattro reti straniere di servizio pubblico ci hanno richiesto» e ricordando, da giornalista, che verranno rispettati tutti i principi della Carta di Roma.

La scelta dei vip è quella che ha fatto più discutere. E se l’autore si difende con un: «L’obiettivo è raccontare attraverso i loro occhi queste parti di mondo dimenticate» e continua con un: «Chi dovremmo mandarci? Bernard-Henri Lévy, che si è sempre occupato di questo? Non credo che ci garantirebbe lo stesso coinvolgimento di pubblico di Albano», ci si domanda quale sia, dunque, l’obiettivo del programma. Vip che passeggiano tra le tende; lavaggi di piatti che durano due settimane. Che tipo di approfondimento storico, sociale e psicologico potranno regalarci dei Vip che di quei mondi conoscono probabilmente molto poco? Che dis-informazione veicolano?

La scorretta informazione in materia di immigrazione e il razzismo che questa alimenta sono un problema endemico. Se la Rai e l’Unhcr avessero voluto rendere fruibili al pubblico tragedie dimenticate, avrebbero potuto fare degli speciali nei quali si racconta l’influenza che il nostro paese ha in determinati conflitti; si potrebbe spiegare alla popolazione cosa sia frontex, o quali siano i problemi legati agli accordi bilaterali che il nostro paese firma, nel silenzio di troppi. Se la Rai volesse fare qualcosa per i profughi, potrebbe insegnare ai propri giornalisti (non che tutti ne abbiano bisogno, ci mancherebbe) ad utilizzare linguaggi non discriminanti e a rispettare i principi della Carta di Roma; potrebbe controllare che i conduttori dei programmi che manda in onda non alimentino il propagarsi di inutili e dannosi stereotipi.
La Rai vuole raccontare i drammi delle persone che vivono in scenari di guerra dimenticati? Perché, allora, ha chiuso “per mancanza di fondi” il programma C’era una volta, uno dei pochi che in questi ultimi vent’anni ha regalato al pubblico, in orari penalizzanti, documentari mai pietosi e sempre rispettosi, ottimi esempi di giornalismo di inchiesta? Come osserva il suo autore, Silvestro Montanaro, in una lettera al direttore di Rai 1, Giancarlo Leone, riferendosi alla situazione della Repubblica Democratica del Congo, possibile location del reality: «[…]Parli del nuovo olocausto. Il servizio pubblico italiano racconti che da quelle parti negli ultimi quindici anni sono state massacrate più di dieci milioni di persone. Racconti e faccia i nomi delle società minerarie e dei potenti vip presenti nei loro consigli di amministrazione che sono dietro tanti movimenti armati che insanguinano quell’area, racconti gli interessi geopolitici in gioco, l’ipocrisia dell’occidente nel denunciare i massacri mentre in silenzio li si arma. Racconti le storie vere».

La Rai potrebbe spiegare la storia collettiva che ogni migrante che sbarca sulle nostre coste porta con sé. Potrebbe raccontare del colonialismo e dello sfrenato sfruttamento che affligge l’Africa (e non solo), anziché proporre quelle tragedie come casuali. Potrebbe far questo e molto altro, e invece ci regala The mission (ma no, non ce la regala: sono soldi nostri!). L’uomo bianco che si degna di parlar di profughi, presentandoli come vittime inevitabili, dimenticando di raccontare del sistema che quelle vittime genera. Dimenticandosi di condannare e mettere in discussione i veri responsabili di quei drammi.
Intanto la petizione lanciata da Casale ha raggiunto quasi quota centomila firme ed è stata commentata anche dalla stampa francese e spagnola. «Tra i firmatari», osserva orgoglioso il promotore, «c’è anche Fiorella Mannoia, una vip che da anni si occupa di tematiche legate ai migranti e che molto sta facendo in Brasile», e che nonostante questo non si improvvisa operatrice sociale. «Ora il Parlamento e la Rai sono fermi: aspettiamo la fine dell’estate e vediamo cosa succede».

Francesca De Luca