Emergenza Sicilia/2

Sbarchi ad ostacoli

- 1 Settembre 2013

La guerra in Siria e la crisi egiziana hanno disegnato nuove rotte migratorie. Cosa è successo e continua a succedere sull’isola.

Bastano poche immagini per rendere appieno quello che è accaduto sulle coste siciliane nel mese appena trascorso. La prima, sotto forma di piccolo video realizzato in maniera artigianale, ha permesso di riproporre l’usato cliché di “italiani brava gente”. È accaduto nella spiaggia di Morghella, comune di Pachino, il giorno di Ferragosto. Un barcone con 160 persone giunto quasi alla riva e i bagnanti che si improvvisano soccorritori, che portano cibo e vestiti asciutti, che montano una tenda per consentire di cambiarsi, una catena umana normale e spontanea ma tanto lontana dalla quotidianità dei messaggi politici in materia. E, pochi giorni prima, altro flash. Un’altra imbarcazione giunge a Catania. Sei uomini, fra cui un minorenne, muoiono nel tentativo di raggiungere a nuoto la terra. I sopravvissuti si dividono. I minori non accompagnati, molti, finiscono in strutture apposite in Sicilia e Calabria, gli uomini riescono a fuggire, i nuclei familiari finiscono in una palestra dove vengono accuditi. Non vogliono lasciare le proprie impronte digitali, non vogliono essere ingabbiati in un Paese come l’Italia in cui il diritto di asilo è disatteso e privo di strutture adatte, di leggi univoche e di risorse. Hanno parenti e amici nel resto d’Europa, è li che vogliono andare e non possono farsi intrappolare dal regolamento capestro di Dublino che, anche nella sua terza versione, li obbligherebbe a restare nel primo Paese Ue di approdo. E a gridare la propria richiesta di avere migliori chances sono stati i bambini, una decina, in gran parte palestinesi fuggiti dai campi profughi in Siria. “Bambini che il sole ha ridotto già vecchi” recitava una bella canzone, e che seri come solo loro sanno essere hanno cominciato a scandire un terribile “No Italia, No Italia”. E durante il mese appena terminato di imbarcazioni ne sono giunte numerose. Un primo esame porta a considerare come si tratti di natanti contenenti fra le 60 e le 180 persone, molti i nuclei familiari completi, moltissimi i minorenni alcuni anche neonati. Figure vulnerabili in gran parte che le leggi in vigore dovrebbero poter garantire.

Una testimonianza diretta Flore Murard-Yovanovitch ha scritto in questi giorni reportage sull’Unità. È un’attivista della campagna LasciateCIEntrare, e si trova a Siracusa dove segue gli sbarchi che si susseguono a ritmo incessante, stante anche le ottime condizioni del mare. Si è recata nei pressi del Cara di Mineo e al Cspa di Pozzallo, dove si è ritrovata impossibilitata ad accedere, senza autorizzazione, ai centri. «Il Cara di Mineo mi ha ricordato una zona occupata, in guerra, come nel Kosovo». Racconta, per la presenza massiccia dei militari di ogni forza. «Riguardo agli sbarchi dei profughi siriani, questi si sono intensificati. Fra il 28 e il 29 agosto sono sbarcati almeno in 500, un terzo dei quali minori. Molti gli sbarchi informali senza la presenza sul posto di operatori umanitari e di rappresentanti di organizzazioni internazionali o nazionali. Non è come a Lampedusa, qui non c’è un presidio sanitario quando avviene lo sbarco “spontaneo” fuori dal molo. Ho assistito allo sbarco del 28 agosto in zona Fanusa e le persone sono finite momentaneamente in una stazione di benzina, prima di essere trasferite all’ufficio Immigrazione. Erano in buona salute ma stanchi. Intercettati da una unità interforze, c’era la presenza di un medico della Croce Rossa e non si potevano fare tutti i controlli sanitari necessari. Sono riuscita a parlare con un po’ di persone, da una parte con il timore di essere invadente in un momento così drammatico per loro, dall’altra sapendo bene che ogni incontro poteva restare unico». Visto che i profughi siriani si allontanano immediatamente. Alcune famiglie hanno dichiarato di aver viaggiato per 10 giorni di cui 5 per mare e a Flore hanno anche accennato alle rotte.
«C’era chi proveniva dai campi profughi nei paesi limitrofi alla Siria in cui era rimasto anche 2 anni e che ad un certo punto ha deciso di cercare di muoversi dalla Turchia, altri dicono di aver raggiunto l’Egitto, ma i racconti sono complessi. Sono stanchi e non si ricordano tutti i posti dove si sono imbarcati o sbarcati. Altri hanno lasciato le proprie case in fretta e furia meno di 10 giorni fa, circondati da macerie, dai cadaveri di vicini morti. Avrebbero speso anche 12 mila dollari (secondo fonti Oim) mettendosi nelle mani di chi permetteva il viaggio. Appena sbarcati avevano già deciso di ripartire. Sono passati al centro di cosiddetta accoglienza ex-Umberto I: quattro ore di sonno e poi via. C’è stato chi mi ha raccontato di aver visto nella propria città centinaia di cadaveri gonfi, chi è scappato per non arruolarsi, chi ha pensato soprattutto ai bambini. L’Italia e l’Europa debbono capire che questa non è emigrazione ma esodo per catastrofe umanitaria, è guerra. Lo capisci vedendo un bambino di pochi anni con lo zaino in spalla o incontrando lo sguardo profondo, bellissimo ma immensamente triste di una bambina di 3 anni mentre mangiava un panino che le era stato offerto. E a fuggire sono persone di ogni classe sociale, provenienti da quasi tutte le città siriane. Contadini, negozianti, ho incontrato persino un regista e altri che avevano vissuto in Europa. Le loro storie si intrecciano: alcuni non ricordano neanche i confini attraversati, altri non avevano neanche compreso di essere in Sicilia. Hanno le loro proprie reti parentali e amicali, ma ciò non esima l’accoglienza italiana di migliorare e soprattutto l’Italia e l’Europa di accelerare le procedure per la protezione umanitaria. In breve tempo trovavano un contatto, un treno per andare verso nord, sapevano già che il proprio futuro sarebbe stato fuori. L’elenco degli arrivi e dei percorsi si aggiorna di ora in ora, quasi impossibile fare bilanci, stime e previsioni, quello che conta è che se inizieranno i bombardamenti, tutto potrebbe inevitabilmente peggiorare».
La guerra in Siria, la crisi egiziana e le nuove rotte Quanto sta accadendo ormai da 2 anni in Siria, i riflessi della crisi egiziana, la vulnerabilità di un’area che comprende numerosi Paesi ha, come in parte previsto, modificato radicalmente le rotte e i percorsi di chi fugge.
Sono diminuiti perciò i natanti che arrivano dai porti libici e tunisini e che puntano direttamente verso la vicina Lampedusa. A bordo soprattutto persone provenienti dal Corno D’Africa e dai paesi subsahariani ancora instabili, ma l’interesse verso la più grande delle Pelagie è ormai scemato. Ci si arriva perché respinti da Malta, per avarie ai motori, per emergenze. Lampedusa, da queste colonne lo si è già scritto spesso, non offre vie di uscita se non quelle che determinano fotosegnalazione, rilievo di impronte, trasferimento nei Cara meridionali e spesso, rimpatri immediati. Si prova a percorrere rotte più lunghe e pericolose, costose per chi si mette in viaggio, ma che portano direttamente verso le coste siciliane, verso le province di Agrigento, Siracusa e Ragusa. I nomi delle località sono ormai noti, Portopalo, Pachino, Capo Passero, Pozzallo, Porto Empedocle, è su quelle spiagge che ad esempio da gennaio (fonti del Viminale) sono sbarcati almeno 3.000 cittadini provenienti dalla Siria. Sempre secondo il ministero al 28 agosto sono giunti complessivamente circa 25 mila profughi, in gran parte in Sicilia ma non pochi anche sulle coste ioniche della Calabria.
Per quello che è ormai il “fronte siriano” in gran parte si tratta di oppositori al regime, o di persone che non vogliono combattere una guerra fratricida, spesso di nuclei familiari che hanno perso tutto, una casa, un lavoro e una vita tranquilla. Molti, troppi sono ammassati nei campi profughi allestiti in territorio giordano, libanese o in Iraq, altri si sono mossi verso la Turchia. Solo in una settimana 30 mila persone hanno trovato rifugio nel Kurdistan iracheno, solo una minoranza esigua ha trovato le risorse per mandare soprattutto i figli, altrimenti costretti a combattere, verso l’Europa. Secondo le fonti dell’Unhcr sono quasi un milione i minorenni che in 3 anni di conflitto hanno abbandonato la Siria, i loro destini spesso si perdono.
E se il conflitto siriano è sul punto di divenire irreversibile, con l’intervento internazionale, predefinendo scenari ancor più foschi, soprattutto per i civili, quella egiziana resta una crisi latente che non sembra preludere per ora ad alcuno sbocco stabile. Basterebbe un nulla per far divampare ancora la rivolta. Il Paese versa in una crisi economica e sociale profonda, la frattura che si è venuta a creare in questi mesi difficilmente potrà essere ricomposta con l’autoritarismo militare, soprattutto se non giungeranno risposte credibili dalla politica. E i giovani egiziani cercano di fuggire, ben sapendo che ad attenderli c’è un Paese che, rispettando antichi accordi bilaterali stipulati col regime di Mubarak, può rispedirli a casa in 48 ore, decretando il fallimento di un progetto di vita altrove. E critiche restano le situazioni di paesi più lontani e dimenticati ormai da uno scacchiere internazionale in perenne agitazione. Si muore e si fugge dall’Afghanistan, dall’Iraq, ancora dalla Turchia e l’Italia resta una sponda, un inevitabile luogo di transito ma non di vita stabile. Le cifre relative agli sbarchi, come ripetuto la scorsa settimana in un incontro fra la prefettura e Save the Children, per il sostegno ai minori, non debbono per ora creare allarmi. Ma occorrono soluzioni da coordinare a livello europeo.

Vie d’uscita In Sicilia sud orientale andrebbero definiti piani di accoglienza gestiti di comune accordo fra enti locali, governo, parlamento e forze sociali impegnate sul territorio. Un piano di accoglienza che andrebbe concordato nel quadro europeo ma che intanto non può trovare l’Italia in condizioni di perenne inadeguatezza. Una delegazione dell’Anci ha, il 29 agosto, incontrato il ministro per gli affari regionali Graziano Del Rio. I comuni temono di essere lasciati da soli a gestire l’ennesima situazione di criticità in assenza di risorse e di percorsi legali che consentano ai profughi di potersi spostare in Europa. Il ministro ha provveduto a fornire rassicurazioni in merito ma occorrono provvedimenti precisi. Con l’apporto di Bruxelles andrebbero poi definiti corridoi umanitari stabili per i profughi, rivedendo nella totalità anche quelli che sono gli accordi bilaterali stabiliti con i Paesi dell’area interessata. Non deve essere insomma possibile poter oggi rimpatriare cittadini siriani ed egiziani (la situazione al Cairo è in divenire) e forse ci si deve anche preparare a rivedere le relazioni con gli altri stati del Maghreb e del Mashref . Ma si tratta di un atto di responsabilità politica che attualmente l’Ue non sembra voler prendere in considerazione. Il continente è diviso anche in merito agli attacchi militari alla Siria, sono in gioco interessi diversi e in alcuni casi contrapposti, che però debbono trovare un punto di equilibrio. L’Italia potrebbe, in tal senso, giocare un ruolo importante, diversamente da quanto accaduto con l’Ena e anzi alla luce di tale fallimentare esperienza. Occorrono risorse per farlo, ma si tratta di investimenti che porterebbero beneficio all’intero continente.

Stefano Galieni