Anniversari

We have a dream

- 1 Settembre 2013

Martin Luther KingCinquanta anni fa, la Marcia su Washington e il famoso discorso di M. L. King. Che non è stato “solo” un discorso contro il razzismo.

Era la mattina del 28 agosto 1963. Centinaia di migliaia di persone, provenienti dagli angoli più remoti degli Stati Uniti, confluirono a Washington per una grande marcia di protesta, convocata dalle organizzazioni per i diritti umani e civili. Alla testa del movimento c’era Martin Luther King Jr., pastore protestante e attivista nero. Quella mattina, King salì sul palco, si schiarì la voce e iniziò quello che è divenuto forse il discorso più celebre del Novecento: I have a dream. Lo potete ascoltare qui sotto, con sottotitoli in italiano.

Sono passati esattamente cinquant’anni. Da allora, le parole di Martin Luther King sono entrate nella leggenda e nel mito. E sono state ripetute mille volte, a proposito e a sproposito: per sostenere una causa antirazzista, per proclamare l’urgenza di una riforma, ma anche per fare campagna elettorale e pubblicità a prodotti commerciali.

Quelle parole, insomma, sono diventate (anche) materia di facile retorica. Ma basta approfondire un po’ meglio le cose per capire che la marcia di Washington, e il vibrante discorso del pastore di Atlanta, sono ancora attualissimi. E tutt’altro che banali.

Ce lo spiega un articolo del Washington Post, uscito proprio a ridosso del cinquantesimo anniversario. William P. Jones, l’autore del pezzo, passa in rassegna i «cinque miti a proposito della Marcia». E ci ricorda, tra l’altro, che «l’abolizione delle leggi di Jim Crow» non era l’unico obiettivo della protesta.

Per chi non lo sapesse, le (cosiddette) «leggi di Jim Crow» erano testi normativi, approvati a livello locale o nei singoli stati Usa, che stabilivano la segregazione razziale – oggi diremmo l’apartheid – nei servizi pubblici. Ad esempio, le leggi di Jim Crow prevedevano la separazione tra bianchi e neri nelle scuole, sui mezzi di trasporto, nei ristoranti e locali pubblici, o nell’esercito.

«I dimostranti», spiega il corsivista del prestigioso giornale americano, «chiedevano la parità di accesso alle strutture pubbliche, abitazioni, istruzione e diritti di voto, ma invitavano le autorità federali a creare anche “posti di lavoro dignitosi con salari decenti” per i lavoratori disoccupati, e ad aumentare il salario minimo in modo da “garantire un tenore di vita dignitoso a tutti gli americani».

Era dunque una marcia contro tutte le discriminazioni, contro il razzismo, che al contempo chiedeva un’estensione del welfare state e delle garanzie per i lavoratori. Per tutti i lavoratori. Non a caso, come ci ricorda un articolo de “Il Post”, il nome completo della manifestazione era Marcia su Washington per il lavoro e la libertà.

Oggi, in tempi di crisi economica, la diffusione di sentimenti razzisti o xenofobi si salda con la disoccupazione, con lo smantellamento delle garanzie sociali, con la sofferenza crescente di interi strati della popolazione. E quei nessi tra antirazzismo, diritto al lavoro e welfare suonano attualissimi. Tutt’altro che scontati.