Scuola multiculturale

Cahiers de doléances

- 8 Settembre 2013

Speranze e disillusioni di un’addetta ai lavori. L’intercultura che sognavo e non è mai – o ancora? – arrivata.

Anni e anni or sono (all’epoca avevo 24 anni, oggi 40) per puro caso mi sono iscritta ad un corso per operatori interculturali. Quel corso densamente performativo è stato un viatico prezioso per il mio futuro percorso, sia privato sia professionale, nel mondo dell’interculturalità, una sorta di “battesimo magico”.
Dopo quella felice esperienza mi è capitato per anni di lavorare in diversi ambiti: editoriale, sociale, educativo e scolastico, guidata dalla speranza viva e pulsante che si stesse in qualche modo preparando una società davvero “interculturosa”, globale ed aperta.
Ero convinta che le belle esperienze editoriali e i progetti che conducevo con altri colleghi, sarebbero stati solo l’inizio di un’avventura perenne. Per tuttti.
I mediatori nelle scuole, i libri bilingue, le visite gioiose e golose alla fiera del libro per ragazzi presso i padiglioni degli editori stranieri, lo scaffale interculturale di Vinicio Ongini, le buone pratiche di Antonio Nanni, i libri di Graziella Favaro, i progetti sui rom di Ismu, i laboratori nelle scuole… Tutto lasciava presagire che a breve, davvero, la scuola italiana, e non solo, si sarebbe attrezzata, interrogata, formata e in qualche modo interculturalizzata.
Così, in realtà, pensavamo un pò tutti noi, operatori e mediatori interculturali quando ci incontravamo ai meeting dei vari centri interculturali, quando scrivevamo nelle riviste di settore, quando in prima persona sperimentavamo nuovi progetti nelle scuole, nei Centri di aggregazione giovanile e nel privato di ciascuno di noi.
Immaginavo che nei vari piani d’offerta formativa (pof) avrei trovato, sempre più frequentemente, azioni concrete per rendere interculturali i programmi scolastici e le varie discipline.
Immaginavo che durante la lezione di storia si potesse parlare anche dei viaggi di Ibn Battuta e che nel programma di poesia accanto a Pascoli o Carducci avremmo ben presto potuto trovare poeti albanesi, bengalesi o peruviani. Immaginavo corsi intensivi di italiano L2 orizzontali e verticali alle ore curricolari e che, a breve, sempre più scuole si sarebbero dotate di materiali bilingue per agevolare il contatto con i genitori degli alunni stranieri. Sognavo bambini cinesi parlare bene l’italiano e bambini italiani saper scrivere e parlare in cinese, albanese, arabo.
Vedevo già nella mia fantasia gruppi di docenti prendere in mano testi scolastici utilizzati dagli alunni di nuova provenienza nel loro paese di origine, per arricchire la didattica italiana con nuovi spunti disciplinari, contaminandola al suo interno con nuove strategie, mutuate dalle scuole albanesi, pakistane, camerunensi per decostruire piano piano, ma in modo efficace, alcuni nostri tabù didattici ma anche educativi, per superare il nostro monolinguismo che ci impedisce spesso di accogliere i conflitti e negoziare per risolverli.
Immaginavo, infine, che i progetti interculturali ben realizzati da alcune scuole pilota avrebbero ben presto sedotto e contagiato altre scuole spargendosi a macchia d’olio.
Immaginavo.
I progetti e i programmi sull’intercultura sono nella maggior parte dei casi rimasti soffocati, impigliati nei pof, nei progetti approvati e finanziati dalle varie fondazioni ma non sempre realizzati alla lettera.
I bellissimi libri di alfabetizzazione per studenti migranti, che vengono pubblicati quasi ogni anno raramente trovano posto nelle scuole e le ore destinate all’alfabetizzazione calano vertiginosamente di anno in anno. I mediatori formati per lavorare nelle scuole rimangono senza lavoro e gli insegnanti si sentono sempre piu in difficoltà perché privi di strumenti efficaci per realizzare, come vorrebbero, le “buone prassi dell’intercultura”. Mi sono illusa e ci siamo illusi? Forse. Sono convinta però che presto verranno altri tempi per realizzare ciò che oggi, in un disinvestimento folle e cieco del settore scolastico e della formazione più in generale, non si può (o non si vuole) fare. Inshalla, mirmir, te avel baxtalè. E che la fortuna sia con noi.

Ramona Parenzan