Violenza domestica

Il permesso che non convince

- 8 Settembre 2013

È quello previsto per le donne straniere che – a certe condizioni – denunciano maltrattamenti in famiglia.

Viene istituito con il decreto legge n° 93 dello scorso agosto, che tratta di Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province. In un testo molto interessante (ma inevitabilmente tecnico) Nazzarena Zorzella e Barbara Spinelli, avvocate del foro di Bologna, spiegano perché questo decreto non le convince, sia nelle sue premesse, sia nella parte che riguarda specificatamente le donne straniere. Abbiamo chiesto a Zorzella di sintetizzare in parole più semplici la loro posizione e di indicarci una proposta alternativa.

Perché non ci convince
«Il nuovo permesso ex art. 18-bis è riservato alle vittime straniere per le quali sussista un “concreto ed attuale pericolo per la sua incolumità”: questo esclude che possa essere rilasciato alle vittime straniere per le quali non c’è quel pericolo, come ad esempio nei casi di violenza domestica economica, psicologica, relativa ai matrimoni forzati, ecc. Il rischio per l’incolumità è connesso a situazioni gravissime e forse fatali. Dunque è inefficace lo strumento;

Viene affidata al questore la valutazione discrezionale dell’esistenza di detto pericolo, in assenza di criteri oggettivi (che peraltro sarebbe impossibile da individuare). Questo significa che la protezione per le donne straniere vittime di violenza domestica è subordinato comunque non tanto alla violenza di per sé, ma alla valutazione di un organo di polizia.
Peraltro, tutto ciò discrimina le donne straniere rispetto alle donne italiane, vittime della medesima violenza, perché alle prime richiede, ai fini di una effettiva protezione, un rischio “aggiuntivo”;

Viene indicata la revoca del permesso sia per condotta incompatibile (che di fatto nega che le donne vittime di violenza abbiano un difficile percorso di affrancamento) sia per venire meno delle condizioni originarie (se cessa la violenza, magari con il definitivo allontanamento del violento, perché la donna non deve avere diritto a conservare il suo permesso?);

Viene previsto, come per l’art. 18 ordinario, il doppio percorso: denuncia o segnalazione dei servizi sociali, ma in questo secondo caso solo se si tratta di servizi specializzati (che non esistono), escludendo pertanto sia i servizi ordinari che i Centri antiviolenza. Così facendo si privilegia il percorso solo giudiziale, cioè una minoranza dei casi effettivamente esistenti;

Non viene previsto nessun progetto sociale, finanziato, che consenta alle donne vittime di violenza domestica di affrancarsi effettivamente dalla stessa (aiuti economici, progettualità lavorativa, sostegno psicologico, ecc.).

Che cosa proponiamo
Il rilascio “semplice” del permesso ex art. 5, co. 6 TU 286/98 (umanitario) a fronte di situazione di violenza domestica, comunque accertare (o per denuncia, ma anche per semplice segnalazione dei Servizi o dei Centri antiviolenza).
Introdurre l’inespellibilità della vittima di violenza domestica, così garantendo a tutte un permesso di soggiorno.