Roma

Il workshop delle associazioni

- 8 Settembre 2013

La politica del rifiuto costa e non funziona. Quali sono le alternative possibili? Se n’è parlato a Sbilanciamoci!

La mancanza di un interlocutore politico e istituzionale con cui le associazioni possano relazionarsi. Al workshop sull’immigrazione organizzato all’interno di Sbilanciamoci! è emerso questo disagio comune sin dai primi inerventi.
I relatori, pur rappresentando realtà organizzate distinte (Antigone, Arci, Asgi, LasciateCIEntrare, Lunaria e Senzaconfine) hanno cercato di trovare punti di convergenza.

«Il default del sistema dei Cie – hanno sostenuto tanto Alberto Barbieri di Medu, quanto Gabriella Guido di LasciateCIEntrare – è oramai visibile. Ne sono operativi in realtà 6 su 13 e a scartamento ridotto. Oggi è possibile affermare che si può fare a meno dei Cie e che anzi le risorse impegnate per gestirli potrebbero trovare ben altro utilizzo». Le risposte alle critiche di Barbieri e Guido, invitavano ad aprire una discussione: utilizzare le stesse risorse per costruire progetti di inclusione sociale, trasparenti e capaci di rendere alla  fine residuale la necessità di espellere. «Potrebbero servire ad affrontare l’emergenza abitativa – ha proposto Claudio Graziano – dell’Arci – definire modalità di inserimento nel mondo del lavoro, tenendo conto che l’assenza di casa e lavoro sono i problemi che determinano più facilmente fallimenti dei progetti migratori».

Alessia Montuori (Senzaconfine) partendo dalla propria esperienza associativa è intervenuta, ripresa da molti, in merito al fallimento dei sistemi di accoglienza e di protezione internazionale e sulla necessità, anche attraverso best pratices di denuncia, di addivenire ad una reale modifica di questo sistema. «La situazione italiana – ha ricordato – presenta aspetti positivi e negativi se rapportata al resto d’Europa. Comunque parlando di asilo la parola “Europa” deve essere posta al centro. Nel resto del continente esiste una trasparenza, ad esempio quando si motiva o si nega una protezione, da noi no. Il gruppo che ha messo in piedi il blog asiloineuropa ha chiesto tempo fa al ministero di conoscere le motivazioni dei provvedimenti, ricevendo un secco no. Non lo considerano atto dovuto». «L’aumento dei posti previsti per lo Sprar – ha convenuto Claudio Graziano dell’ Arci – di per sé è positivo, ma se le modalità di accoglienza ripercorrono o peggiorano quelle già assurde che si sono verificate con l’Emergenza Nord Africa, lo stesso Sprar rischia di essere “corrotto” o peggio ancora avvelenato». «Altra cosa sarebbe – ha ripreso Graziano – se lo Sprar venisse praticato secondo le ragioni per cui è stato istituito, garantendo che Comuni e associazioni di tutela mantengano come obiettivo primario quello  dell’inserimento di ogni singola persona nel tessuto territoriale. L’Emergenza Nord Africa porta invece a temere la realizzazione di strutture differenti dai fallimentari Cara solo perché in grado di ospitare poche decine di persone ma che resterebbero avulse dal territorio. Per impedire questo, dove si realizza un progetto Sprar, è necessaria una presenza costante dell’attivismo antirazzista indipendente dai progetti di gestione».

Patrizio Gonnella (Antigone) ha invece evidenziato come il caos politico attuale stia paradossalmente aprendo spazi interessanti e da sfruttare per quanto concerne la stessa percezione del carcere e della giustizia. Ha raccontato di essersi ritrovato ad interloquire anche positivamente con il governo. Un’interlocuzione resa poi vana dai lavori parlamentari, dove ha incontrato ostacoli politici anche in ambiti inaspettati. A suo avviso però, il tema del sovraffollamento carcerario si è imposto tanto da incontrare una società civile più permeabile che in passato. «Il 27 maggio 2014 – ha ricordato – l’Italia dovrà essersi definitivamente adeguata agli standard europei in materia, pena centinaia e centinaia di ricorsi già pendenti. Un contesto che coinvolge molto le questioni inerenti l’immigrazione data la presenza straniera nei penitenziari. Soltanto Antigone ha già presentato 150 ricorsi in merito alle condizioni di vita nelle carceri, i cui percorsi sembrano ben avviati».

Di alcune cause pilota ha anche parlato Cristina Cecchini, avvocato dell’Asgi, insistendo però sulla necessità di far coincidere azioni legali, in difesa di migranti che o hanno subito vessazioni legislative o vicende connesse al razzismo e alla xenofobia, con campagne di  informazione. Ha sottolineato l’esigenza di una comunicazione onesta e indipendente  dai poteri politici, capace di avere autorevolezza e credibilità. Molte le sollecitazioni, provenienti anche dagli interventi del pubblico, da segnalare, in riferimento soprattutto al tessuto romano il contesto che Anna Maria Rivera ha definito di “clochardizazione” di richiedenti asilo e rifugiati, ormai ridotti a vivere in strada. Secondo Medu, all’inizio del 2013, in base al censimento operato dalla propria unità di strada, è emersa nella sola capitale la presenza di circa 1.300 persone che, pur beneficiando di forme di protezione, vivevano all’addiaccio e in assenza di intervento tanto pubblico che di supporto volontario.

Il workshop ha definito, infine, alcuni punti comuni su cui elaborare campagne condivise rompendo con una prassi di isolamento purtroppo consolidata. In termini di priorità l’urgenza di un piano di accoglienza per i profughi che stanno giungendo non solo dalla Siria ma anche da paesi come l’Egitto attraversati da forti tensioni. Accoglienza concordata con gli attori sociali e nessun rimpatrio arbitrario. Chiedere poi la chiusura definitiva con l’esperienza disastrosa della detenzione amministrativa e dei Cie, il cui fallimento può essere ormai posto all’attenzione. La revisione delle norme relative all’ingresso regolare: le circolazioni migratorie sono ormai cambiate e anche a partire da questo non è irrealistico presumere norme di arrivo per ricerca occupazione rese totalmente regolari. Da ultima, una riflessione che ha attraversato gran parte della discussione: la necessità di uscire da specialismi, dal considerare l’immigrazione come questione a sé stante, ma anzi di farla entrare a pieno titolo in una logica globale di estensione dei diritti.

Stefano Galieni