Accoglienza

Errori che si ripetono

- 15 Settembre 2013

Il ritorno della “legge Puglia” e il fallimento del sistema prefettizio. L’analisi di Fulvio Vassallo Paleologo.

Di fronte alla ripresa degli sbarchi, in particolare di famiglie e minori non accompagnati provenienti dalla Siria – ma arrivano anche egiziani e tunisini – rimpatriati presto con modalità sommarie, si sono moltiplicati i centri di prima accoglienza aperti dalle Prefetture in virtù dalla legge Puglia del 1995. Si tratta di luoghi eterogenei dalle caratteristiche giuridiche affidate alla discrezionalità della polizia, alcune volte a porte aperte, con la libertà di fuga garantita da una sorveglianza assai flessibile, soprattutto nel caso dei siriani, in altri casi veri e propri centri di detenzione informale,in particolare quando arrivano tunisini o egiziani. Strutture utilizzate dalle forze di polizia e dalla magistratura alla ricerca dei soliti “scafisti” da gettare in pasto all’opinione pubblica.
Il potere affidato esclusivamente ai prefetti ed ai questori in materia di prima accoglienza deriva dal decreto legge n. 451 del 30 ottobre 1995, poi convertito con la legge 563 del 1995 (cd. Legge Puglia), una normativa che appare anacronistica, e del tutto inopportuna, a fronte del fatto che si applica a persone che, nella quasi totalità, avrebbero titolo per ottenere ingresso in un qualunque stato europeo allo scopo di chiedere asilo.

Il perché di una legge
La legge Puglia è orientata al controllo delle frontiere rispetto al fenomeno dell’immigrazione “clandestina”, e i centri di accoglienza che sono previsti, in prossimità dei luoghi di ingresso, appaiono chiaramente come un filtro per isolare dai potenziali richiedenti asilo altri migranti da sottoporre immediatamente alle misure di allontanamento forzato disposte dai questori. Testualmente essa prevedeva che: «A decorrere dal 1 luglio 1995 e fino al 31 ottobre 1995, i prefetti delle province della regione Puglia furono autorizzati ad avvalersi di contingenti di personale militare per lo svolgimento di attività di controllo della frontiera marittima per esigenze connesse con il fenomeno dell’immigrazione clandestina nelle medesime province». E che «per far fronte a situazioni di emergenza connesse con le attività di controllo e che coinvolgono gruppi di stranieri privi di qualsiasi mezzo di sostentamento ed in attesa di identificazione o espulsione è autorizzata, per ciascuno degli anni 1995, 1996 e 1997, la spesa di lire tre miliardi, da destinarsi anche alla istituzione, a cura del Ministero dell’interno, sentita la regione Puglia, di tre centri dislocati lungo la frontiera marittima delle coste pugliesi per le esigenze di prima assistenza a favore dei predetti gruppi di stranieri».
Si prevedeva ancora che interventi previsti per la Puglia «fossero effettuati con le stesse modalità e con le risorse ivi indicate per fronteggiare situazioni di emergenza che si verificano in altre aree del territorio nazionale». In realtà i centri di prima accoglienza (Cpa) sono rimasti privi di uno statuto giuridico preciso, ed altrettanto imprecisata è rimasta la posizione giuridica degli immigrati che vi sono “ospitati”. In questi centri si trovano spesso anche minori non accompagnati prima di essere trasferiti in una casa famiglia o in una struttura di accoglienza per minori. La legge è stata prorogata anno dopo anno ed il suo spettro d’azione esteso in pratica a tutto il territorio nazionale.

Accade 13 anni dopo
Nei centri di prima accoglienza, aperti dalle prefetture in convenzione con i più diversi enti privati, i minori non accompagnati rimangono anche molti giorni dopo lo sbarco con gli adulti, quando non si giunge direttamente a chiamarli in causa come “scafisti”. In alcune strutture, come quella di Priolo, i minori non accompagnati rimangono fuori controllo al punto che possono anche uscire la sera per rientrare il giorno dopo. Ovunque si registrano fughe che consegnano alla clandestinità persone che non sono state adeguatamente assistite.
Occorre una svolta, prima che i ritardi e le omissioni aggravino una emergenza che nei numeri non ha raggiunto ancora i picchi del 2008 e del 2011. Le competenze fin qui attribuite ai prefetti vanno trasferite a tavoli regionali di pianificazione, nei quali, oltre alle prefetture ed agli enti locali, siano presenti anche le associazioni e che considerino anche gli aspetti dell’informazione e della tutela legale dei migranti. Va ricostruita una rete di accoglienza decentrata gestita dai comuni con la collaborazione delle associazioni e delle organizzazioni umanitarie. Occorre chiudere al più presto i centri informali di prima accoglienza, come quelli attivati a Porto Palo di Capo Passero, all’interno del mercato ittico, a Priolo (Siracusa) ed a Porto Empedocle (Agrigento) all’interno della zona portuale, in recinti sottoposti a vigilanza militare. Luoghi nei quali o risulta troppo facile fuggire, oppure si rischia di rimanere confinati per settimane, e se si è della nazionalità “sbagliata” (egiziani e tunisini) si può essere sottoposti a limitazioni della libertà personale, e quindi a misure di rimpatrio collettivo, in contrasto con l’art. 13 della Costituzione, senza provvedimenti di convalida da parte dell’autorità giurisdizionale.

Fulvio Vassallo Paleologo
Università di Palermo