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Convenzione Onu sui lavoratori migranti

- 23 Settembre 2013

Il 18 dicembre 1990 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha adottato la Convenzione Internazionale sulla Protezione dei Diritti dei Lavoratori Migranti e dei Membri delle loro Famiglie, allo scopo di integrare la normativa esistente promossa dalla Convenzione Oil n. 97 del 1949 e dalla n. 143 del 1975.

I lavori preparatori ed il testo della Convenzione riflettono numerose tensioni e compromessi: infatti, il gruppo di lavoro istituito dall’Assemblea Generale nel 1979 ed incaricato di redigerla, si è riunito diciannove volte finché non si è giunti all’approvazione definitiva del testo nel 1990, dopo dieci anni di lavoro.
Dopo oltre dieci anni dalla sua adozione, gli Stati che la hanno ratificata hanno superato di poco il numero necessario per l’entrata in vigore. Altri dieci Stati, invece, l’hanno solo sottoscritta. Nonostante dunque essa sia stata adottata in sede Onu a larga maggioranza nel 1990, non figura ancora alcun Paese firmatario di immigrazione e nessuno Stato membro dell’Ue vi ha aderito; trattasi quindi, fatta eccezione per le Seychelles, di paesi fortemente impoveriti e generatori di flussi migratori. Questa importante Convenzione a favore dei lavoratori migranti e dei loro familiari è caduta per lungo tempo nel dimenticatoio e sono dunque necessari degli sforzi a livello europeo ed internazionale affinché i diritti in essa contenuti diventino effettivi e non rimangano chiusi in un cassetto.
Il contenuto della Convenzione La Convenzione Onu, per la prima volta, fornisce una definizione internazionale di “lavoratori migranti”, e dei membri delle loro famiglie, stabilendo degli standard internazionali per il loro trattamento. La sua importanza, dunque, può essere attribuita al fatto che i lavoratori migranti non sono visti solo come forza lavoro ma anche come entità sociali e membri di un nucleo familiare; di conseguenza, essi sono titolari di diritti fondamentali ed inalienabili, come stabilito in precedenza da altre convenzioni internazionali e dalla Corte Costituzionale italiana. La Convenzione delle Nazioni Unite, inoltre, è importante in quanto considera che i lavoratori migranti, non essendo cittadini dello Stato in cui lavorano, rappresentano una categoria vulnerabile, non protetta e bisognosa di particolare tutela. Essa, infatti, riconosce che la legislazione nazionale dei Paesi di origine o di destinazione spesso non tutela i diritti dei soggetti in questione: per questo la comunità internazionale, attraverso l’Onu, deve adottare misure per un’adeguata protezione. Questo importante strumento giuridico delle Nazioni Unite cerca di prevenire lo sfruttamento dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie e di mettere fine ai movimenti illegali o clandestini ed alle situazioni di residenza irregolare, stabilendo degli standard minimi, universalmente accettati e riconosciuti, per la loro protezione. La Convenzione, infine, considera tutte le fasi del processo migratorio, dai preparativi per la partenza al rientro, identificando di volta in volta quali sono i diritti da tutelare: in virtù di ciò, è stata qualificata come il primo strumento internazionale a livello mondiale, che considera il problema delle migrazioni internazionali in tutta la sua complessità. La portata veramente innovativa della Convenzione, tuttavia, riguarda il fatto che tutti i lavoratori migranti ed i membri delle loro famiglie dovrebbero godere dei diritti umani fondamentali a prescindere dal fatto che siano in possesso o meno dell’autorizzazione prevista dalle rispettive legislazioni nazionali. Un aspetto che merita senz’altro di essere rilevato è che la Convenzione Onu definisce il migrante sprovvisto di autorizzazione a soggiornare irregolare e non illegale: tale qualifica, infatti, può essere attribuita in maniera corretta ed appropriata dall’autorità giudiziaria. In virtù di ciò, a tutti i lavoratori migranti e ai loro familiari, compresi coloro che si trovano in situazioni irregolari, sono garantiti i diritti umani (artt. 8-35). In base al principio di uguaglianza di trattamento con i nazionali e di non discriminazione, essi godono di una serie di diritti relativi alla vita, ad uguali condizioni di lavoro e di impiego con i nazionali dello Stato in cui si trovano, ad una libera scelta dell’attività lavorativa, allo spostamento e stabilimento, alla libertà di pensiero, di coscienza, di religione e di culto, alla sicurezza personale; oltre a ciò sono garantiti il diritto alla salute, all’educazione ed alla formazione professionale, al ricongiungimento familiare ed il diritto a trasferire i loro guadagni, risparmi ed effetti personali alla scadenza del soggiorno nello Stato d’impiego. Tuttavia, sono previsti una serie di divieti volti ad evitare i trattamenti crudeli, inumani o degradanti sul lavoro quali la tortura, la schiavitù ed il lavoro forzato, la privazione arbitraria di beni; la detenzione, il trattamento giudiziario arbitrario, la confisca e la distruzione di documenti di identità; l’espulsione collettiva, la discriminazione sul lavoro ed in materia di previdenza sociale.

In base alla Convenzione Onu, dunque, i lavoratori migranti ed i membri delle loro famiglie che si trovano in situazione di regolarità, oltre ai diritti umani spettanti ad ogni persona, godono di una tutela più pregante connessa appunto alla loro situazione (artt. 36-56), e comprendente: il diritto di essere pienamente informati, prima della loro partenza o al momento dell’arrivo, dallo Stato di origine o da quello di impiego, di tutte le condizioni poste alla loro ammissione, relativamente al soggiorno ed alle attività remunerate verso le quali essi possono dirigersi, oltre che delle esigenze cui devono necessariamente conformarsi nello Stato di impiego e delle autorità cui possono rivolgersi; il diritto di assentarsi temporaneamente senza che ciò leda la loro autorizzazione di soggiorno o di lavoro; di circolare liberamente sul territorio dello Stato di impiego e di scegliere liberamente la residenza, salvo le restrizioni previste ex lege per motivi di ordine pubblico e di sicurezza nazionale; il diritto di formare con altri associazioni e sindacati nello Stato di impiego per tutelare i propri interessi economici, sociali, culturali ed altri; il diritto di prendere parte agli affari pubblici dei loro Stati d’origine, di votare ed essere eletti; l’accesso all’alloggio, ai servizi sociali e sanitari e la partecipazione alla vita culturale; il diritto all’integrazione dei bambini nel sistema educativo locale e l’insegnamento della loro lingua madre e cultura; il diritto di trasferire guadagni e risparmi, soprattutto i fondi necessari al mantenimento della propria famiglia, dallo Stato di impiego a quello di origine o ad ogni altro Stato, conformemente alle procedure stabilite dalla legislazione applicabile. Inoltre, i lavoratori migranti ed i membri delle loro famiglie non sono soggetti ad imposte, diritti o tasse più onerose di quelle richieste ai nazionali e sono soggetti a tutti gli sgravi fiscali previsti. Essi, infine, beneficiano dell’uguaglianza di trattamento con i cittadini dello Stato di impiego per: la protezione contro il licenziamento, le indennità di disoccupazione, l’accesso a programmi di interesse pubblico per combattere la disoccupazione, o ad un altro impiego in caso di perdita di lavoro o di cessazione di un’altra attività remunerata. I lavoratori migranti ed i membri delle loro famiglie, infine, non possono essere espulsi dallo Stato di impiego se non per ragioni definite nella legislazione nazionale di detto Stato e l’espulsione in sé non priva i soggetti in questione dei diritti derivanti dal permesso di soggiorno o di lavoro.

Ai fini dell’applicazione della Convenzione, risulta molto importante l’istituzione di un Comitato per la protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti ed i membri delle loro famiglie, con il compito di redigere un rapporto annuale all’Assemblea Generale su come la Convenzione viene applicata dagli Stati parte, dopo aver esaminato i rapporti dei singoli Stati e le loro eventuali comunicazioni di inadempienze degli obblighi e ricevuto le comunicazioni di privati che denuncino violazioni dei propri diritti individuali stabiliti dalla Convenzione. È da sottolineare, tuttavia, che attualmente nessuno Stato contraente ha riconosciuto la competenza di tale Comitato a ricevere ed esaminare i singoli casi di violazione delle disposizioni contenute nella Convenzione o denunce da parte dei singoli Stati per il mancato adempimento di obblighi in essa previsti da parte di uno Stato membro.     

di Francesca Natalini

Fonte: http://www.onuitalia.it/contributi/migranti.php