Indagine Onu

Emergenza tratta

- 23 Settembre 2013

Il traffico di esseri umani è la nuova frontiera del business illegale. E non è finalizzata solo alla prostituzione. Parla Joy Ngozi Ezeilo, reporter speciale delle Nazioni Unite.

Joy Ngozi Ezeilo ha compiuto un vero e proprio Grand Tour italiano, durato poco più di una settimana e che l’ha vista attenta uditrice di funzionari governativi e parrocchiani, giovani volontari e detenuti nei Cie, ministri in doppiopetto ed ex vittime di tratta. E sono proprio queste ultime ad avere segnato profondamente la sua visita e ad imprimere alla stessa conferenza stampa un colore più vivo, ma non per questo meno ufficiale. Abituati come siamo a farci raccontare l’Italia da tabelloni multimediali e dai “dati alla mano”, dare un volto e una storia ad un fenomeno così complesso non può che sortire un certo effetto e induce a togliere la penna dal bloc-notes.
Così Ezeilo racconta la storia di una ragazza nigeriana di ventun anni arrivata in Italia dopo estenuanti tappe forzate in Turchia, Slovenia, Ungheria, Francia e per anni costretta a prostituirsi. Il padre aveva dato la propria terra in garanzia per poterle pagare il viaggio. Adesso la ragazza è inserita in un programma d’assistenza e protezione a cura di un’associazione di volontariato. E poi si diffonde su altre situazioni particolari.
Il quadro che disegna Ezeilo non è dei più confortanti. L’Italia è una meta privilegiata sia di destinazione che di transito, per lo più di donne e minori. Il fenomeno cresce esponenzialmente di anno in anno. Via mare, ma anche con treni e aerei, raggiungono il nostro paese migliaia e migliaia di migranti provenienti dalle aree più svantaggiate. Crescono i numeri delle partenze dall’America Latina e dall’Asia. Quest’ultima riempie le file della prostituzione indoor, particolarmente difficile da monitorare e contrastare, ma perfettamente integrata col tessuto criminale locale. In aumento considerevole anche l’accattonaggio coatto di minori provenienti dalla ormai comunitaria Romania.
«Quella che desta maggiore preoccupazione – prosegue la dottoressa Ezeilo – è la tratta a scopo di sfruttamento lavorativo», forse perché lì è «minore l’attenzione dell’autorità» e troppo poco spazio riveste nel dibattito e nell’immaginario pubblico. Le industrie maggiormente coinvolte sono quelle agricole e tessili. Il tanto decantato “made in Italy”, per capirci. Questo vuoto di attenzione fa sì che in Italia esista un solo rifugio per uomini vittima di tratta, a Caserta. Può ospitare solo quattro vittime per volta ed è già pieno.
La domanda che si pone Ezeilo è impietosa. Così tanta morbosa attenzione alla sicurezza delle frontiere e così scarso interesse per la tutela dei diritti umani. Come è possibile? Il giudizio complessivo sulla gestione politica della tratta è tranchant: «l’approccio è inefficace e insostenibile».
Nonostante la legislazione italiana sia «completa e modello per gli altri Paesi», gli stanziamenti economici e i piani strategici nazionali sono del tutto insufficienti. «L’Italia potrebbe infatti contare sulla ratifica del Trattato Onu sulla tratta, sull’articolo 18 del Testo Unico sull’Immigrazione, sull’articolo 13 della Legge sulla tratta degli esseri umani, nonché sul codice penale», prosegue Ezeilo, «ma permangono delle gravi criticità».
Al momento l’identificazione delle vittime, sia per quanto riguarda il numero sia per quanto concerne i loro dati anagrafici, è in mano a statistiche contraddittorie e mal condotte e alle domande basiche degli agenti di polizia nei Cie.
Questi ultimi sono stati definiti senza mezzi termini da Ezeilo «vere e proprie prigioni/sale d’aspetto», dove le vittime sono vittime due volte «in un ambiente ostile sia da un punto di vista igienico-sanitario che assistenziale».
L’assistenza e il reinserimento sociale e lavorativo sono in mano alle Ong, alle associazioni e al volontariato confessionale. Tutte buone pratiche che Ezeilo non ha mancato di menzionare. Come la linea verde per le vittime di tratta in Veneto o le case-rifugio a Castel Volturno o ancora il partenariato pubblico-privato nella regione Piemonte sul finanziamento ai programmi di protezione. Il Governo delega dunque al volontariato, ma «potrebbe almeno garantirgli finanziamenti adeguati e continuativi», sottolinea Ezeilo.
Durante il viaggio, la Rapporteur dell’Onu ha inoltre potuto constatare che l’attuazione delle leggi in materia di migrazione varia da regione a regione. E non è detto che il Sud debba costituire per forza il polo negativo della discussione. Se a Napoli le vittime della tratta hanno automaticamente diritto al permesso di soggiorno, a Torino è concesso solo previa collaborazione con le forze dell’ordine. Quello che può apparire a un primo sguardo un incentivo alle indagini, si rivela un circolo vizioso di paura per le vittime. «L’assistenza – ricorda inoltre Ezeilo – non è condizionale secondo le carte internazionali». E secondo l’etica.
Ezeilo ha chiuso la conferenza stampa con le raccomandazioni da presentare il giorno seguente al Governo Italiano. Per prima cosa occorre un meccanismo centralizzato di raccolta dati, nonché la presenza di figure professionali specializzate sul tema della migrazione e della tratta nei luoghi preposti all’accoglienza e al reinserimento sociale. Sarebbe a questo punto d’auspicio formare anche gli agenti delle forze dell’ordine e i funzionari di frontiera.
Dopodiché, è più che urgente dare attuazione alle moratorie internazionali e alle convenzioni già stipulate, ad esempio la Convenzione Onu del 1990 sui diritti dei migranti, la Convenzione Ilo sul lavoro domestico e la Direttiva 36 del 2011 dell’Unione Europea sulla tratta. Occorre una pianificazione armonica e di lungo periodo, che veda una partnership tra il Vice Ministro del Lavoro con delega alle Pari Opportunità Guerra e la rete delle organizzazioni civili e confessionali.
Una seria presa in carico da parte del governo della crisi economica che colpisce in misura maggiore proprio i migranti – a discapito del luogo comune sugli “immigrati che rubano il lavoro” – li proteggerebbe dai meccanismi di sfruttamento e coercizione delle organizzazioni criminali.
In ultimo, un appello accorato ad «aggredire le cause a monte». È venuto il momento che l’Italia metta in campo delle strategie di cooperazione con i paesi di provenienza, dalla lontana Africa fino alla vicina Romania, stando attenti però alla retorica del rimpatrio che spesso vanifica gli sforzi di protezione e reinserimento sociale e rimette le vittime nelle mani dei propri aguzzini.
«L’opinione pubblica – conclude la dottoressa Ezeilo – andrebbe infine educata ai temi della migrazione, dei diritti umani e della tratta per porre un definitivo argine alla costante opera di criminalizzazione delle vittime». Su quest’ultimo punto, però, il Governo dovrà rispondere del recente emendamento alla legge Mancino sulla libera espressione e manifestazione di opinioni “plurali”, comprese l’omotransfobia e il razzismo. Su quale terreno si giocheranno le buone pratiche auspicate dalle Nazioni Unite?

Noemi De Simone