Giornalismo made in Italy/1

L'insostenibile "doppio sguardo"

- 23 Settembre 2013

Un mestiere difficile che per qualcuno (migranti e seconde generazioni) diventa impossibile. La storia di Adil Mauro. Le riflessioni di Igiaba Scego.

Adil Mauro è un ragazzone alto, magro, dalla fronte ampia e con un naso regolare che ricorda il profilo di Osiride. La madre è somala, il padre calabrese. Lui una via di mezzo che bilancia nel suo viso percorsi millenari. Adil è acuto, pragmatico, con una penna al vetriolo e uno sguardo ironico (a volte anche cinico) sulla vita. Con le parole è un vero maestro. E quando leggo i suoi pensieri su Twitter  o i suoi articoli in giro per il web rimango ogni volta estasiata. L’ ho conosciuto in tempi non sospetti quando la scrittura per lui era solo un passatempo. Insieme con Ingy Mubiayi, all’epoca, stavo lavorando al libro  Quando nasci è una roulette (Terre di Mezzo). Attraverso le storie di sette ragazze e ragazzi afroitaliani abbiamo cercato di ripercorrere idealmente anche il nostro percorso di figlie della migrazione qui in Italia. Adil è apparso magicamente, a metà della ricerca.  Era stata la mia sorellona Zahra a dirmi «C’è un ragazzo di origine somala e molto in gamba a Roma Tre. Dovresti metterlo nel tuo libro».

«Questo tipo farà strada», ho pensato dopo averlo conosciuto. Adil infatti oggi è un giornalista professionista. Ha la tessera che si è guadagnato sul campo con il sudore della sua fronte e la fatica di una Roma che non ti regala niente. Col tempo la sua scrittura è diventata più matura, acuta, sensibile, attenta. Una signora scrittura, per intenderci, capace con due tratti di dipingere un mondo. Di rendere appassionante anche una seduta stantia del senato o una delle solite escandescenze di qualche oscuro politico di provincia in cerca di un quarto d’ora di celebrità. Non ha niente da invidiare agli editorialisti che leggiamo sui giornali mainstream. Sa tutto di trame e intrighi politici. E sa bacchettare, quando ci vuole, i comportamenti poco consoni di chi teoricamente è chiamato a governare la polis. Non gliene sfugge una ad Adil! Strafalcioni, linguaggio razzista, sessismi mal celati, tutto viene individuato, catalogato, denunciato da quella sua scrittura dedita alla costruzione di un mondo migliore. Per i suoi followers di twitter è un vero spasso seguire le traiettorie della sua ironia dissacrante. Perfetta sintesi tra Giovenale e Woody Allen.

Se Adil fosse stato bianco e proveniente da famiglie “conosciute” la sua firma probabilmente oggi campeggerebbe a caratteri cubitali sui giornali che contano. Ma oltre a non avere agganci famigliari e amicali (che ancora in Italia dettano legge nell’accesso a questa professione) Adil deve anche contrastare l’idea che le redazioni hanno dei giornalisti cosiddetti “migranti”, ovvero quelli un po’ arabi, un po’ africani, un po’ latinoamericani… La parola “migrante”, che in altri contesti è una parola importante e degna, in ambito giornalistico si trasforma in un’arma a doppio taglio se si è autori. Infatti sottointende che sì “forse ti facciamo pure scrivere se vuoi, ma basta che non esci fuori dal seminato che ti abbiamo tracciato noi”. Ed ecco che un esercito di Adil Mauro è costretto, suo malgrado, a occuparsi solo ed esclusivamente di immigrazione o al limite di qualche episodio di razzismo qua e là lungo lo stivale. Ora anch’io scrivo e mi occupo di immigrazione. È una mia scelta, però. Ci ho pensato a lungo e a me piace davvero tanto scrivere di questa Italia sempre più mescolata. Sento che è importante far emergere il razzismo strisciante. Ma per chi vorrebbe fare altro, mi chiedo, la migrazione come argomento non è un po’ troppo stretto? Adil ha un’acuta conoscenza della politica estera, il suo inglese va oltre la perfezione, è sempre molto informato, e plasma costantemente la sua opinione confrontandola con quella di molti suoi colleghi sparsi per il mondo. Allora perché nessuno chiede ad Adil di scrivere di Matteo Renzi o di commentare le prossime elezioni tedesche?  Perché ai vari Adil Mauro sparsi per l’Italia non viene data occasione di esprimersi?
È una domanda che mi fa impazzire questa. Giuro!

Fare il giornalista in Italia, lo so per esperienza diretta, è molto difficile. Devi sgomitare per chiedere un briciolo di attenzione, spazio, ascolto. Vieni pagato male e spesso sei sfruttato dalle redazioni. Adil Mauro e i suoi colleghi afroitaliani, cinoitaliani, arabi d’Italia stanno uno step indietro a tutto questo. Infatti di norma non vengono nemmeno ricevuti nell’anticamera dei media. La loro voce in Italia è considerata inutile, da alcuni perfino dannosa. Quei pochi spazi di scrittura trovati dai vari Adil sono di solito underground, online e ahimè spesso connotati dall’etichetta migrazione. E meno male che ci sono questi spazi! Meno male! Vivaddio! Io, per esempio, penso che la libertà che ho trovato su Corriere Immigrazione non l’ho trovata da nessuna parte. Ma penso anche che un giornalista che ha nel suo Dna la migrazione sua o dei suoi genitori debba essere messo in grado di ampliare i suoi orizzonti.
L’inserimento di queste nuove voci, nuovi sguardi, nella realtà mediatica italiana può fare solo bene. Elementi locali sarebbero esaminati con un approccio globale, multiculturale. E fenomeni come il Berlusconismo, il femminicidio, la fuga dei cervelli sarebbero analizzati da una prospettiva completamente diversa. E poi il linguaggio politicamente scorretto dei nostri media sarebbe naturalmente raddrizzato se i giornalisti in redazione o i collaboratori delle testate fossero persone con le più svariate origini.

Anche le pagine culturali ritroverebbero una nuova linfa se alle voci solite aggiungessimo prospettive nuove.
Alcune settimane fa su Los Angeles review of books ho letto un articolo bellissimo di Gina Apostol in risposta a Mark O’Connel del New Yorker sulla presunta non politicità di Borges. Per Apostol non solo Borges era dentro la politica, ma aveva una visione postcoloniale con cui intesseva le trame fitte e immaginifiche dei suoi personaggi. Un articolo complesso, uno sguardo sullo scrittore argentino inedito. Quanto, mi sono chiesta a fine lettura, la biografia della Apostol ha pesato sulla redazione di questo articolo? Lei nata a Manila, ma ora new yorker a tutti gli effetti, quanto ha tratto dalle sue esperienze di vita per plasmare questa visione originale e moderna del mondo? Apostol è la prova che un doppio sguardo di solito arricchisce la scrittura e non è un impedimento alla stessa. Ingabbiare questo doppio sguardo significa farlo morire.
Allora mi chiedo come mai questo doppio sguardo è completamente ignorato in Italia?

Certamente non tutti i giornalisti migranti o di origine migrante sono acuti come Adil Mauro. Alcuni sono probabilmente pessimi giornalisti. Ma ecco, a quelli bravi che si impegnano le strade sono precluse. Un altro ragazzo promettente è Angelo Boccato. Il nome è italiano, ma la sua pelle ambrata e i capelli ricci rivelano senza incertezze la sua origine. Ha dovuto lasciare l’Italia perché non è riuscito a trovare altra alternativa. Un cervello in fuga, anzi, una penna in fuga. «Perché» mi ha detto «è proprio impossibile fare il giornalista in Italia». Ora vive a Londra e sta tentando di abbracciare il suo sogno. L’Italia è impossibile perché i poteri forti la soffocano e poi Angelo sa che sarebbe intrappolato in una nicchia che non è quella che vuole raccontare. L’Italia è impossibile perché insiste a sprecare risorse giovani e promettenti. La solita storia di sempre che vi dirò, fa male, metterla per iscritto. Quando cambierà tutto questo? Quando cambierà? Ai posteri l’ardua sentenza, direbbe Alessandro Manzoni. Io spero che la sentenza arrivi prima del giudizio dei posteri e che i media italiani si arricchiscano presto di nuovi sguardi, nuove voci, nuovi approcci. Dalla Valle d’Aosta alla Somalia, insomma. Intanto, nell’attesa, continuo a seguire Adil Mauro su twitter [@adilmauro]. Fatelo anche voi. Non ve ne pentirete.

Igiaba Scego