Sfruttamento e lavoro nero

Rosarno flop

- 23 Settembre 2013

Come e perché non sta funzionando la legge che doveva battere il caporalato. Un’interrogazione parlamentare e proposte per cambiare rotta.

Il decreto legislativo 109, più conosciuto come legge Rosarno – che prevedeva il rilascio di un permesso di soggiorno a chi, a determinate condizioni, avesse denunciato il datore di lavoro che lo sfruttava – è del luglio 2012. Il 603-bis del Codice penale, noto come legge anti-caporali – che introduceva il delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavor0 – risale all’agosto 2011. Ad oggi non è dato sapere in quanti casi e con quali risultati questi strumenti siano stati applicati. I ministeri interessati (Grazia e Giustizia, Lavoro, Politiche Sociali…) certe informazioni, evidentemente, preferiscono tenerle per sé. Eppure i risultati e le problematicità della applicazione del decreto, dovrebbero essere rese pubbliche e inviate in Commissione Europea ad ogni primo di luglio. Ma dagli elementi a disposizione si ricava un’impressione fortemente negativa: poche denunce verso i caporali, pochissime verso i datori di lavoro, nessun permesso di soggiorno rilasciato. Nel frattempo sfruttamento, tratta e lavoro nero continuano a imperversare nelle campagne di tutta Italia, centro e nord compresi, come in comparti lavorativi diversi (edilizia, ristorazione, servizi domestici, ecc). Perché le cose stanno andando in questo modo? E cosa fare? Se ne è parlato a Roma, in un incontro tenuto nella sala stampa della Camera dei Deputati e che  ha riunito esponenti del mondo politico e  associativo. Un primo passo, importante, dovrebbe essere quello di avere a disposizione i famigerati dati e capire anche come sono stati spesi i fondi destinati al contrasto di questa forma di sfruttamento. Per raggiungere  l’obiettivo, i parlamentari presenti (Pd, Sel, M5S e gruppo misto) hanno annunciato la presentazione, a breve, di un’interrogazione parlamentare ai ministeri competenti, a partire da quello di via Arenula. Nel testo sarà precisato che far conoscere questi dati non è un’opzione ma un dovere dell’esecutivo. Il passo successivo riguarda il merito di queste leggi: i punti deboli e contraddittori, gli interventi per rimuoverli.

Questi strumenti, fra incongruenze e assurdità Il 603-bis colpisce il caporale ma non il datore di lavoro. Contestualmente, però indica come perseguibili dei comportamenti che riguardano invece il datore di lavoro: sistematica retribuzione difforme rispetto al contratto collettivo; sistematica violazione dell’orario; trascuratezza rispetto alle condizioni di igiene e sicurezza sul posto di lavoro; l’imposizione di metodi di sorveglianza e e di condizioni alloggiative degradanti. E questo rappresenta una prima incongruenza.
Il decreto legislativo 109 invece, recependo in maniera contorta e insufficiente la Direttiva europea 52/2009, aspira a colpire il datore di lavoro colpevole di grave sfruttamento. Ma lo fa con delle limitazioni piuttosto paradossali. Lo sfruttamento, per essere perseguito, deve: riguardare almeno tre persone (e questo esclude in partenza buon parte, per esempio, dei lavoratori domestici); oppure minori in età non lavorativa; esporre il lavoratore a condizioni di grave pericolo e grave sfruttamento. Se non sussistono queste condizioni non c’è rilascio di permesso di soggiorno e, al contrario, lo straniero irregolare che denuncia rischia di essere mandato in un Cie e/o espulso. Ma lo stesso rischio lo corre un immigrato poco informato che denunci il caporale invece del datore di lavoro: in questo caso il caporale sarà perseguito penalmente ma nessun permesso sarà rilasciato, perché la legge non lo prevede.
Il permesso, in ogni caso, verrebbe rilasciato dal questore, sentito il parere del procuratore della Repubblica e può essere revocato in caso di “condotta incompatibile” con le finalità del permesso. Ma qual è il limite per definire particolare uno sfruttamento lavorativo? E quali sono le condotte incompatibili?
Nell’articolo 4 (sempre Dl 109) in cui si definiscono sommariamente le attività di controllo che il governo deve effettuare, emergono altri due elementi significativi. Sono esclusi dalla procedura i rapporti a tempo parziale, tranne quelli connessi al lavoro domestico e di sostegno al bisogno familiare. Una via di fuga per il datore di lavoro che cerca di sottrarsi alla legge.
Tanti sono gli aspetti di ordine burocratico che rendono di fatto complessa l’applicazione delle norme previste. Lo ha evidenziato bene, nel corso dell’incontro, l’avvocato Alessandro Ferrara, dell’Agenzia dei Diritti del quinto municipio di Roma: «È un testo che esprime la stessa cultura di ogni norma sull’immigrazione: l’idea che questa sia un problema di ordine pubblico, afferente la sicurezza nazionale». Gran parte del testo si sofferma infatti sulla necessità di vietare assunzioni a chi è già stato condannato in passato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro ai sensi del già citato articolo 603-bis del codice penale. Certamente giusto in principio ma inadeguato a comprendere la fluidità dei modelli di sfruttamento dove le aziende cambiano facilmente intestazione e assetto proprietario. Anche le modalità e i tempi con cui il denunciante si reca poi al competente Sportello unico per l’immigrazione possono essere causa di diniego per un permesso di soggiorno, gli ostacoli che vengono posti per rendere utile la denuncia di procedimenti di infrazione sono insomma tali da scoraggiare i lavoratori. Nel testo in questione non sono neanche menzionate le forze sociali e associative che potrebbero, con la loro presenza capillare, contribuire a far conoscere le fasce di sfruttamento e fungere da struttura di intermediazione e informazione fra le istituzioni e i lavoratori. Una carenza che si fa sentire al momento in cui, negli incontri in prefettura, finiscono con essere convocate soltato le associazioni di categoria che in molti casi non possono o non vogliono garantire il rispetto delle norme sindacali.

Dublino e Bossi-Fini: altri effetti collaterali A rendere problematica l’applicazione di queste leggi e un’efficace azione di contrasto nei confronti di caporalato e dintorni ci sono anche altri elementi di natura normativa. «Ad esempio, molti dei lavoratori incontrati vivono in un assurdo limbo giuridico, non hanno ottenuto asilo ma non possono essere rimandati nei paesi di provenienza per ragioni di rischio incolumità», ha proseguito Ferrara. «Il risultato è che restano a disposizione di chi li sfrutta senza potersi liberare. Andrebbe rivisto quindi non solo il testo del Dl 109 ma il Regolamento Dublino e più in generale l’intero Testo Unico sull’Immigrazione, che legando il permesso di soggiorno al contratto di lavoro favorisce indirettamente la clandestinità». Non solo: «Occorrerebbe garantire in tempi rapidi tanto le sanzioni allo sfruttatore quanto il permesso di soggiorno per chi è stato sfruttato. E poi andrebbe elaborato un piano per l’integrazione per queste persone che spesso sono in Italia anche da oltre 10 anni. Insomma, strutture per fuoriuscire dallo sfruttamento». Invece non solo vincono discrezionalità e assenza di progettualità: chi denuncia non ha immediatamente protezione, può dover aspettare anche 30 giorni, un mese in cui vive gli stessi rischi di un “collaboratore di giustizia” senza avere alcuna protezione. Il mese in questione poi non definisce i tempi dell’apertura di un procedimento penale che di fatto sono molto più ardui con il rischio concreto che i denuncianti, anche con permesso di soggiorno, diventino difficilmente rintracciabili come testimoni in aula.
Un testo che sembra poco tenere conto delle condizioni lavorative reali delle persone. Dai rappresentanti del Movimento immigrati e rifugiati di Caserta, da chi ha lottato a Rosarno, da chi ha seguito le tante vertenze, soprattutto nel Sud, una semplice constatazione. Chi lavora nell’agricoltura molto spesso non conosce il datore di lavoro, viene portato nei campi alla raccolta dai caporali, spesso connazionali, senza sapere per chi lavorano. Possono denunciare coloro che fanno intermediazione illecita di manodopera ma questo, come si diceva prima, non consente di ottenere permessi di soggiorno. E l’assenza di dati e di trasparenza tocca diverse questioni: «Che fine hanno fatto i 140 milioni di euro ottenuti con la sanatoria successiva all’entrata in vigore della legge (1.000 euro a persona) e che ha permesso ai lavoratori di emergere, ovviamente a proprie spese?» ha domandato Piero Soldini della Cgil. E sono tante le risorse che dovevano essere impiegate per l’applicazione della legge, come da disposizioni finali e che andrebbero aggiunte a quelle ricavate dall’aumento dei costi dei permessi di soggiorno. Una cifra complessiva utilizzabile di oltre 500 milioni di euro. Una legge insufficiente anche per Bernardino Guarino, direttore dell’Ufficio progetti del Centro Astalli, recentemente visitato dal Papa: «Attenzione – ha ammonito Guarino – che mantenendo lo sfruttamento della manodopera irregolare si è fatto crescere anche quello di chi invece è regolarmente residente ma non riesce a guadagnarsi da vivere». Del resto, ha ricordato Salvatore Fachile dell’Asgi: «Questa legge non nasce dalla buona volontà dell’esecutivo quanto dall’obbligo ad adeguarsi alle normative europee per non incorrere in sanzioni (nel caso del decreto 109 si tratta della direttiva 2009/52/Ce che introduce “norme minime relative a sanzioni e provvedimenti nei confronti di datori di lavoro che impiegano cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare”, ndr). Tanto è che, per esempio, non si predispongono strumenti per informare i lavoratori e le lavoratrici stranieri della possibilità di usufruirne e tanto è che la sua stessa messa in attuazione è sempre più problematica». Il tutto in un Paese in cui nella classifica Ue per il lavoro nero, l’Italia è al secondo posto dopo la Grecia.

Che fare? In merito alla necessità di abrogare il Testo Unico sull’immigrazione si è registrata nell’incontro totale omogeneità di vedute. Ma questi sono i tempi lunghi di una politica la cui agenda non sembra contemplare per ora tale priorità. Alcuni hanno invece ragionato attorno ad obiettivi più immediati e precisi partendo da esperienze concrete. Giovanna Cavallo di Action ha ricordato come grazie alla capacità di mobilitazione dei lavoratori di Rosarno, dopo i fatti ormai passati alla storia, si sono ottenuti 1.700 permessi di soggiorno. In molti hanno parlato del diritto alla mobilità che deve divenire esigibile in uno spazio europeo per chi proviene da paesi terzi. Gianfranco Mosca, dell’Ex Canapificio di Caserta, ha evidenziato come un testo mal fatto come il Dl 109 rappresenti di fatto un onere per lo Stato, utile per la demagogia ma che di fatto rallenta le regolarizzazioni, lo stesso ciclo produttivo, ma che espone solo chi denuncia ad ogni forma di ritorsione, quindi permesso di soggiorno stabile e legge organica sull’asilo, visti anche come strumenti per legalizzare cicli economici e reperire risorse. Ma debbono entrare in scena tutti gli attori e debbono poter essere tutelati tutti i lavoratori esposti, nelle case come nei cantieri o nei campi, raffinando gli strumenti. Antonello Mangano, giornalista che molto ha scritto sullo sfruttamento in agricoltura, ha, alla fine dell’incontro, chiesto che si considerino i veri “invisibili” del contesto, i grandi acquirenti dei prodotti che hanno invaso soprattutto il Meridione e impongono i propri prezzi. Ha elencato le aziende che si spartiscono i territori, dalla Nestlé, alla Coca-Cola alle grandi cooperative e che formalmente non compaiono in questo ciclo di sfruttamento pur essendone le maggiori beneficiarie. Del resto, aggiungiamo noi, se i pomodori vengono acquistati a prezzi bassissimi, soprattutto i piccoli coltivatori si ritrovano anche a non avere risorse per pagare legalmente le raccolte». I parlamentari presenti hanno dichiarato disponibilità ad un lavoro di inchiesta e di audizione nei territori in cui lo sfruttamento incide in maniera più evidente. Un lavoro che potrebbe portare, conoscendo le diverse dinamiche anche, ad avere una proposta di radicale riforma del Dl 109/2012 se non una sua completa riscrittura. Ma c’è stato anche chi ha parlato della necessità di promuovere forme di lotta di antica tradizione, come lo sciopero da accompagnare al ruolo che deve esercitare la politica.

Stefano Galieni