Senza più un tetto

San Nicola Varco, l’outlet batte il ghetto

Stefania Ragusa - 10 Novembre 2013

RosarnoditaliaNella strada tra Battipaglia ed Eboli, pressocché inesistente sulle carte geografiche, c’è San Nicola Varco: «un posto molto strano, una grande tragedia», una ferita nella piana del Sele, cioè nella zona più fertile della Campania, dove si pratica un’agricoltura intensiva a ciclo quasi continuo: ortaggi di serra nei mesi freddi, fragole in primavera, pomodori in estate.
A San Nicola Varco, in 14 ettari di terreno, la Regione aveva costruito un mercato ortofrutticolo mai decollato nè utilizzato e costato, dicono, 36 miliardi di lire.
A partire dalla metà degli anni ’90 le strutture abbandonate e già fortemente danneggiate sono state occupate da una trentina di braccianti immigrati, quasi tutti marocchini: niente, acqua, gas ed elettricità, ma almeno c’era un tetto e un angolo dove appoggiare un materasso. In questo ghetto di cemento, a pochi chilometri dalla città ma invisibile agli occhi, che nel tempo è arrivato a ospitare un migliaio di persone, non si sono mai registrati particolati episodi di violenza. Tra a giugno e luglio del 2009 però sono scoppiati a distanza ravvicinata diversi, strani incendi tra i capannoni. E questo fuoco (con ogni evidenza doloso) ha reso il ghetto finalmente visibile agli occhi di Eboli, il comune a cui appartiene San Nicola Varco. L’amministrazione ha improvvisamente cominciato a scaldarsi per la sua presenza e l’11 novembre del 2009 (da pochi mesi era entrato in vigore il pacchetto sicurezza e la clandestinità era diventata un reato penale), alle otto del mattino, sono arrivati a San Nicola Varco 60 mezzi blindati e uno sproposito di uomini tra poliziotti, carabinieri, finanzieri e guardie forestali armate di scudi e manganelli, con l’ordine di bonificare la zona, sgomberare gli occupanti e tenere lontani giornalisti e curiosi. Ad attenderli hanno trovato un ghetto ancora pieno ancora di cose ma quasi senza abitanti. Molti, infatti, avvisati dai caporali, si erano già infrattati nei boschi e nelle campagne. Per giorni hanno dormito all’addiaccio, prima che i volontari delle associazioni e dei sindacati riuscissero ad individuarli e a portarli in strutture di accoglienza. Per le istituzioni l’operazione era necessaria, indispensabile, indifferibile per tutelare l’interesse della comunità, tanto da metterla in piedi senza un tavolo preventivo di concertazione e senza nessuna proposta alternativa. Quei 700 immigrati stipati nell’ortomercato abortito rappresentavano una minaccia per l’ordine e la salute pubblica. Come si spiega tanta efficienza dopo, in buona sostanza, 15 anni di indifferenza? Si spiegherebbe, sostengono in molti, con la necessità di evitare un imbarazzante vicino al costruendo outlet Cilento Village, spuntato un po’ come un fungo nel Piano Urbanistico Attuativo dell’area e su cui sono stati investiti 80 milioni di euro. Si spiegherebbe con l’urgenza di realizzare un nuovo Polo Agroalimentare per il quale saranno stanziati ben 33 milioni di fondi POR. L’immigrazione, a San Nicola Varco, è stata sempre gestita dal caporalato, con il benestare delle aziende il supporto ovviamente non disinteressato della camorra. C’è un filo diretto che lega i caporali della zona a Beni Mellal, la provincia marocchina ai piedi dell’Atlante da cui proviene la maggior parte dei braccianti. A ogni decreto flussi i caporali marocchini organizzano gli arrivi in Italia e vendono a chi aspira a partire un presunto contratto di lavoro per la somma di due-tremila euro. I vincitori della lotteria, appena sbarcati in questa piana che assomiglia così tanto alla loro terra d’origine, scoprono che non è vero niente: non c’è nessun contratto di assunzione, nessuna azienda che li aspetta e anche il caporale, che in base agli accordi dovrebbe guidarli e proteggerli sul territorio italiano, è introvabile. In genere, dopo un mese di limbo ricompare, portando giustificazioni improbabili e una controproposta: lavorare a giornata, per 25 euro meno la percentuale trattenuta da lui per la mediazione e l’incomodo. I vincitori della lotteria possono solo accettare. Quando poi qualcuno di loro sta per perdere il permesso di soggiorno, ecco che la criminalità organizzata si fa subito avanti offrendo false regolarizzazioni a peso d’oro (dai 3 ai 7mila euro). E’ successo anche con l’ultima sanatoria. Lo sgombero avrà un’innegabile utilità per il Cilento Village, ma per il resto non ha risolto niente. Gli immigrati che stavano a San Nicola Varco adesso sono sparpagliati per la piana del Sele: questa terra ha bisogno di braccia e se dovessero andare via i marocchini l’agricoltura locale si fermerebbe. I diritti violati, il lavoro nero e il caporalato rimangono la loro routine. Se un cambiamento per loro c’è stato, è stato in peggio: dispersi tra i casolari, accampati tra le serre gli sgomberati oggi sono ancora più ricattabili di ieri. Il ghetto, per quanto ciò possa sembrare paradossale, faceva di loro dei soggetti organizzati, li rendeva sindacalmente più forti.

Stefania Ragusa (tratto da Le Rosarno d’Italia ed. Vallecchi, 2010)