La storia rimossa

Militi troppo ignoti

Daniele Barbieri - 20 Novembre 2013

Tirailleurs senegalesi1Questo articolo nasce da un non evento: un appuntamento che mi accingevo a seguire: la carovana che da Milano avrebbe dovuto arrivare all’Elba in occasione della commemorazione dei defunti, per ricordare i soldati senegalesi che, il 17 giugno del 1944, sono caduti proprio all’Elba, per la liberazione di una Patria che non era loro ma la nostra. Un episodio decisamente poco noto, venuto alla luce grazie a una giornalista italiana, Francesca Caminoli, che ne ha parlato nel libro La Guerra di Boubacar (Jaca Book, 2011). La carovana è stata cancellata, ma la miccia della curiosità era ormai stata accesa. Mi sono procurato il libro e sono qui a parlarvene.

“A la gloire des coloniaux du 13ème Régiment Sénégalais qui sont tombés ici pour la Libération de la Patrie, le 17 juin 1944”. Così è scritto sull’epigrafe che ancora esiste sulla spiaggia di Marina di Campo, all’Isola d’Elba. Nella notte fra il 16 e il 17 giugno 1944, dopo nove mesi di occupazione tedesca, l’alto comando alleato liberò l’isola. Una divisione di fanteria coloniale francese, sbarcata sulla spiaggia di Marina di Campo si impadronì della parte occidentale. Erano 12.000 uomini e fra loro c’erano numerosi senegalesi, in prima linea durante lo sbarco. La spiaggia era minata e fu una carneficina.
Caminoli copiaIl romanzo storico di Caminoli si ispira a quell’episodio della seconda guerra mondiale con protagonisti migliaia di giovani senegalesi: non erano addestrati, ma per l’esercito francese erano soldati da prima linea, cioè carne da macello. Gli storici considerano quello dell’Elba uno degli sbarchi più sanguinosi della seconda guerra mondiale. Nel libro si intrecciano tre personaggi: Boubacar, catapultato dalle capanne del suo villaggio a combattere; il nipote che porta il suo stesso nome, uno dei tanti “clandestini” per lavoro nell’Italia di oggi; Gustavine, la nipote del sergente Flaubert, un altro protagonista del disperato sbarco all’Isola d’Elba. Uno dei pregi di La guerra di Boubacar è nella provocazione di mescolare due sbarchi in apparenza diversi: i senegalesi che, forzati dai colonialisti francesi, vengono a combattere e contribuiscono a liberare l’Italia e l’Europa dal nazismo con i loro nipoti che arrivano oggi in un’Italia immemore e spesso ostile.
Così Boubacar 2 – il nipote – come il nonno rischia la vita per mare. Non arriva per combattere ma per lavorare, però vuole conoscere la spiaggia di cui il nonno gli aveva parlato. Gustavine è una ragazza francese precaria che, in un momento di incertezza, decide di andare a quella spiaggia di cui le raccontava suo nonno, cioè il sergente Flaubert, superiore di Boubacar 1. Un romanzo originale: qui http://www.libreriadelsanto.it/libri/9788816502734/la-guerra-di-boubacar.html trovate altre notizie.
Queste vicende dei soldati senegalesi rimossi dalla storia (ho amici che abitano all’Elba e nulla sapevano della lapide e di quella sanguinosa battaglia) mi ha fatto scattare un altro ricordo e sono andato a recuperare una storia ritrovata da Eduardo Galeano e ora nel libro Specchi, una storia quasi universale (Sperling & Kupfer, 2008) con il titolo Il milite ignoto. Non posso che cedergli la parola.
«La Francia perse un milione e mezzo di uomini nella prima guerra mondiale: quattrocentomila, quasi un terzo, furono morti senza nome. In omaggio a quei martiri anonimi, il governo decretò di dedicare una tomba al Milite Ignoto. Si scelse a caso uno dei caduti nella battaglia di Verdun. Vedendo il cadavere, qualcuno si accorse che era un soldato nero, di un battaglione della colonia francese del Senegal. L’errore fu corretto in tempo. Un altro morto anonimo, ma di pelle bianca, fu sepolto sotto l’Arco di Trionfo, l’11 novembre 1920. Avvolto nella bandiera patria, ricevette discorsi e onori militari».
Sarà pur vero che la morte è «a livella», come dice una poesia di Totò, ma l’uso che i vivi fanno dei morti li rende diseguali. Per questo l’idea dell’Union des senegalais de l’Exterieur di organizzare una carovana nei luoghi dove i soldati africani caddero per liberare l’Europa è una sfida da accettare, da rilanciare. Tanto più che le celebrazioni della prima guerra mondiale sono già iniziate (in anticipo) e già sembrano grondare di retorica mista alle omissioni di sempre. Ricordare che nelle due guerre mondiali le truppe coloniali furono in prima linea anche in Europa è una verità ma anche una lezione per l’oggi: troppo comodo aprire e chiudere le frontiere del mondo a seconda delle contingenze, mentre si continua a negare memoria e cittadinanza persino a chi è morto combattendo negli eserciti europei.

Daniele Barbieri