Modifiche legislative

Il bicchiere mezzo e mezzo

Alessandra Ballerini - 25 Novembre 2013

30+aprileA sforzarsi di vedere il bicchiere mezzo pieno alla fine qualcosa sul fondo si scorge.
Negli ultimi mesi sono passate praticamente sotto silenzio alcune modifiche legislative che, a tratti e confusamente, un poco migliorano (peggiorare era difficile) la vita degli stranieri.
Non sono regali del nostro legislatore. Sono lente prese d’atto di doveri imposti dalla nostra Costituzione e da Convenzioni internazionali o Direttive Europee. Ma in questi tempi di diritti calpestati e doveri ignorati, ogni sforzo, seppure maldestro e coartato, di “diligenza”, va riconosciuto.
• Il 4 settembre scorso l’Inps ha emesso un messaggio nel quale si riconosce finalmente nero su bianco quanto sindacati e associazioni, confortate da innumerevoli decisioni dei Tribunali e delle Corti, andavano sostenendo da anni: il diritto all’indennità di accompagnamento, alla pensione di inabilità, all’assegno mensile di invalidità e all’indennità mensile di frequenza, non deve essere subordinato al possesso del permesso di soggiorno di lunga durata Ce, ma è sufficiente per l’erogazione che l’avente diritto possegga il permesso di soggiorno da almeno un anno. Non è cosa da poco. Negli ultimi anni ho personalmente assistito come consulente della Cgil decine di persone nate o divenute per varie disavventure gravemente disabili, genitori di bimbi colpiti da inesorabili malattie, vedersi negata la prestazione Inps cui avrebbero invece avuto diritto, perché non possedevano la cosiddetta carta di soggiorno. E non potevano avere la carta perché, pur vivendo in Italia da molti anni, essendo disabili o impegnati nelle cure ininterrotte di congiunti invalidi, non potevano avere o mantenere un lavoro né un reddito “congruo”. Nelle aule di giustizia spesso (ma non sempre) si riusciva a far prevalere il diritto, sancito oltre che dalla costituzione, dalla Convenzione Oil e dallo stesso unico immigrazione, all’aberrazione della legge finanziaria, ma il successo non era mai garantito e in ogni caso la causa comportava un onere aggiuntivo per gli interessati. Ora queste persone, che non hanno avuto la simpatia della sorte, potranno almeno avere il sostegno del diritto senza dover ricorrere ai tribunali.
• Sempre il 4 settembre, intanto, entrava in vigore la cosiddetta legge europea che contiene, tra l’altro, disposizioni sull’accesso dello straniero al lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione, e sancisce finalmente il diritto per chi è in possesso di permesso di lunga durata Ce, per i familiari di cittadini Ue e per i rifugiati e i titolari di protezione sussidiaria all’accesso alla funzione pubblica, con gli stessi limiti e condizioni previste per i cittadini dell’Unione europea. La legge trae origine dalle osservazioni rivolte alle autorità italiane dalla Commissione europea nell’ambito dei procedimenti preliminari di infrazione Eu Pilot 1769/11/Just e 2368/11/Home, in base alle quali la prassi generalizzata di esclusione dai concorsi pubblici dei cittadini di Paesi terzi familiari di cittadini Ue, dei rifugiati e titolari di protezione sussidiaria e dei lungo soggiornanti, risultava in contrasto con rispettivamente le direttive europee 2004/38, 2004/83 e 2003/109.
La legge ha inteso dunque adeguare la normativa interna sul pubblico impiego e l’accesso ai concorsi e selezioni pubbliche agli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione europea, evitando il procedimento di infrazione del diritto Ue che altrimenti la Commissione europea avrebbe potuto promuovere ai sensi del Trattato Ue.
Ma in questo caso il bicchiere resta decisamente mezzo vuoto. Restano infatti ancora privati del diritto di accedere al pubblico impiego i titolari di Carta Blu Ue di cui alla direttiva 2009/50, attuata in Italia con il d.lgs. n. 108/2012 e i titolari di permesso di soggiorno Ce per lungo soggiornanti rilasciato da altro Stato membro che hanno acquisito il diritto di soggiorno in Italia per motivi di lavoro, nonché i cittadini stranieri titolari di solo permesso di soggiorno. Nonostante le richieste e gli appelli che erano stati indirizzati da Cgil, Asgi e molte altre associazioni e nonostante le molte sentenze favorevoli, il legislatore non ha inteso adeguare formalmente la normativa sul pubblico impiego al princìpio di parità di trattamento previsto a favore della generalità dei lavoratori migranti regolarmente soggiornanti in Italia dall’art. 2 c. 3 del d.lgs. n. 286/98, facente riferimento alla Convenzione Oil (Organizzazione Internazionale del Lavoro) n. 143/1975. E così ancora oggi i cittadini extracomunitari potranno partecipare ai concorsi pubblici solo se sono titolari di un permesso Ce per lungo soggiornanti (la cosiddetta carta di soggiorno), dello status di rifugiato o dello status di protezione sussidiaria.
Inoltre, potranno aspirare solo a posti che non implichino esercizio diretto o indiretto di pubblici poteri, ovvero non attengono alla tutela dell’interesse nazionale. La ‘legge europea 2013’ non servirà a risolvere dunque interamente il contenzioso relativo all’accesso degli stranieri di Paesi terzi ai rapporti di pubblico impiego.
• Il 6 agosto il Ministero degli Affari Esteri emetteva una circolare (meglio che niente!) con la quale veniva “soppresso il richiamo all’obbligo del visto d’ingresso, ai fini del soggiorno fino a tre mesi (articolo 6, comma 2); ai fini dell’iscrizione anagrafica per i familiari del cittadino Ue (articolo 9, comma 5, lettera a); nonché ai fini del rilascio della carta di soggiorno di durata superiore a tre mesi per i familiari del cittadino Ue non aventi la cittadinanza di uno Stato membro (articolo 10, comma 3, lettere a e b).
Viene quindi di fatto eliminata l’obbligatorietà del visto specifico quale condizione per l’ingresso e il soggiorno in Italia dei familiari extracomunitari dei cittadini Ue. Di conseguenza, gli Uffici Visti delle Ambasciate non dovranno più rilasciare visti di ingresso nazionali (tipo D) per motivi familiari, ai fini di un lungo soggiorno (oltre i 90 giorni), ai cittadini stranieri, familiari di cittadini Ue, come definiti dall’ articolo 2, comma 1, lettera b del Decreto legislativo n. 30/2007, che accompagnano o raggiungono il cittadino Ue. E cioè: a) al coniuge;
b) al partner che abbia contratto con il cittadino Ue un’unione registrata sulla base della legislazione di uno Stato membro (qualora la legislazione dello Stato membro ospitante equipari l’unione registrata al matrimonio e nel rispetto delle condizioni previste dalla pertinente legislazione dello Stato membro ospitante);
c) ai discendenti diretti di età inferiore a 21 anni o a carico e quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b);
d) agli ascendenti diretti a carico e a quelli del coniuge o partner di cui alla lettera b).
A favore di questi familiari, verificato il vincolo di parentela/coniugio con il cittadino Ue, potrà invece essere rilasciato un visto Schengen di breve durata (fino a 98 giorni, tipo C) per turismo con ingressi multipli. Il possesso di un visto tipo C continua infatti ad essere comunque necessario per l’attraversamento delle frontiere della Ue per tutti gli stranieri soggetti a visto ai sensi del Reg. Ce 539/2001.
I visti a favore della predetta categoria di familiari Ue dovranno essere rilasciati gratuitamente (art. 5 D.Lgs. 30/2007).
• E poi ci sono, in questo variegato (e confuso) panorama di novità circa il diritto dell’immigrazione, alcune norme contenute nella legge 98/2013 (legge di conversione del cosiddetto decreto del fare) e 99 /2013.
L’art 33 della legge 98 prevede che lo straniero nato in Italia che al compimento del 18° anno chiede la cittadinanza italiana, potrà soddisfare il requisito della continuità della residenza con ogni idonea documentazione (ad esempio, con certificazioni scolastiche o mediche, attestanti la presenza del soggetto in Italia sin dalla nascita e l’inserimento dello stesso nel tessuto socio-culturale) in caso di “buchi” nell’iscrizione anagrafica. Inoltre è stabilito che il Comune di residenza debba inviare al minore nato in Italia, nei sei mesi antecedenti il compimento dei 18 anni, una comunicazione per ricordargli la possibilità di richiedere la cittadinanza italiana entro e non oltre il 19° anno. La norma prevede, in caso di inadempienza del Comune nell’invio della comunicazione, la possibilità per lo straniero di chiedere la cittadinanza anche oltre il diciannovesimo anno di età.
• La legge 99/2013 invece introduce nel testo unico immigrazione, all’art. 22 il comma 11 bis che prevede la possibilità di ottenere il rinnovo del soggiorno per un anno per motivi di attesa occupazione, oltre che per gli stranieri che hanno conseguito un master di II livello o un dottorato, anche a coloro che abbiano conseguito una laurea triennale o specialistica.
• Da ultimo va ricordato (ma merita in successivo articolo una riflessione a sé) il testo dell’art. 18 bis testo unico immigrazione introdotto con la cosiddetta legge sul femminicidio 119/2013 in favore, seppure con molti limiti e paletti, delle donne straniere vittime di violenza domestica.

Come si vede dunque, alcune novità attraversano il panorama legislativo in tema di immigrazione, ma nulla invece, purtroppo, mai cambia nelle modalità assolutamente disorganiche, compulsive e spesso superficiali di legiferare su questi temi così importanti e trasversali. Questa disorganizzazione comporta un’assoluta confusione ed una scarsa se non impossibile conoscibilità delle norme. I cittadini stranieri in definitiva continuano a essere trattati quali ignari oggetti dell’impianto legislativo e quasi mai quali soggetti di diritti.
Spiace dirlo, ma alla fin fine il bicchiere degli immigrati resta comunque mezzo vuoto.