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Palcoscenico Lampedusa

Nicola Grigion - 25 Novembre 2013

Lampedusa porta d'EuropaDei tanti giornalisti che hanno popolato l’isola in questo mese non c’è più traccia. Su Lampedusa è calato il sipario in attesa che il carrozzone mediatico che ciclicamente accende i riflettori sul confine Sud torni a raccontare la prossima emergenza. Per le strade si incrociano pochi abitanti, comparse più o meno consapevoli di un copione scritto altrove. Gli attori principali, invece, hanno la divisa. Lampedusa è occupata militarmente da tempo, ma a queste latitudini vivere come in un’enorme caserma è diventato normale. Polizia, Carabinieri, Guardia di Finanza, Esercito, Aeronautica, Marina, Croce Rossa: ci sono tutti. Si spostano dalla caserma all’aeroporto, dal centro di Contrada Imbriacola al Porto, da un ristorante all’altro. La frontiera ha trasformato la geometria dell’isola e la sua quotidianità.
In questi giorni il mare rende impossibile imbarcarsi, così gli arrivi dei migranti si sono pressoché azzerati. L’ultimo risale a domenica 17, quando ad approdare sono stati circa sessanta cittadini nigeriani. Tanto per ribadire quanto i pattugliamenti dell’operazione Mare Nostrum siano facilmente aggirabili.
Quando ci si affaccia sul porto, lo sguardo va immediatamente al mare aperto. L’Europa, Italia compresa, non riesce ad uscire dalla logica del controllo militare delle frontiere. Così la sensazione è il prossimo sbarco sia imminente e questa tregua sia solo una parentesi dovuta alle condizioni metereologiche. Intanto, sull’altra sponda del Mediterraneo, si attende il momento buono per ripartire.
Hanno una gran voglia di rimettersi in cammino anche i migranti che ancora sono sull’isola. Fino al 19 novembre erano centocinquanta. Poi c’è stato un nuovo trasferimento e a rimanere sono in pochi. Alcuni vivono all’interno del centro di prima accoglienza dal 4 ottobre. Sono i superstiti del naufragio che ha fatto indignare il mondo. Hanno testimoniato e riconosciuto i trafficanti e per questo le autorità non hanno intenzione di trasferirli. Farebbero perdere le loro tracce, questo è certo, così come hanno fatto i loro compagni di viaggio appena arrivati a Roma, ma non per questo qualcuno ha il diritto di tenerli rinchiusi in quella struttura indegna. Mentre i militari presidiano gli ingressi di contrada Imbriacola, i richiedenti asilo escono dal buco ricavato nella rete sul retro. Li ritroviamo mentre passeggiano per le vie del paese di fronte agli stessi agenti che dovrebbero controllare il centro. E’ calato il sipario il copione continua ad essere osservato in tutta la sua carica di ipocrisia.

Incontriamo alcuni eritrei davanti alla sede di una associazione culturale che ogni sera proietta su uno schermo un film nella loro lingua per regalar loro qualche ora di distrazione. Le storie che raccontano sono le stesse che abbiamo ascoltato mille volte. Violenza, prigionia, ricatti, denaro speso. Per tutti il viaggio non è finito e la meta è ancora lontana, verso il Nord Europa dove li attendono amici, parenti, condizioni di accoglienza più degne e una nuova gabbia chiamata Regolamento Dublino III. Ma questo non li spaventa. Intanto i lampedusani vanno incontro all’inverno. Con l’estate lontana ed un freddo vento di tramontana le attività vanno via via chiudendo. A loro, che abitano da sempre la frontiera d’Europa, rimane la speranza che qualcosa cambi. Sperano di non dover più pagare la benzina più cara d’Europa, di non dover prendere un aereo per veder nascere un figlio, di avere un ospedale in cui curarsi ed una scuola senza i doppi turni. Sanno che il loro destino è deciso altrove e usano questo momento di apparente tranquillità per riorganizzare le idee, in attesa di ritornare a far da sfondo allo scontro che si consuma sul confine tra la voglia di libertà di chi lo varca e la macchina del controllo che vorrebbe ingabbiarla. Così lasciamo il Sindaco Giusi Nicolini e Giacomo Sferlazzo, dell’Associazione Askavusa, con un arrivederci. Ci ritroveremo sull’isola fra non molto, per dar vita ad una campagna euromediterranea per mettere fine alle politiche europee che costringono l’isola a vivere una vita di confine. Una speranza per Lampedusa.

Nicola Grigion, Progetto Melting Pot Europa