Proposte

La rifondazione dell’Europa

Stefano Galieni - 1 Dicembre 2013

L’Europa in crisi potrebbe riprendersi e trovare finalmente un’identità unitaria grazie all’immigrazione? È la tesi-proposta lanciata da Fabio Marcelli, responsabile presso il Cnr del settore giuridico del progetto Migrazioni e curatore del volume Immigrazione, asilo e cittadinanza universale, appena pubblicato dalla Editoriale Scientifica Napoli.

Il testo, a cui hanno collaborato 16 esperti di formazione diversa, giuristi, sociologi, antropologi, è denso e corposo e cerca di produrre una analisi organica a partire dalle differenze di ognuno degli approcci. Si parte da una dicotomia: da una parte la necessità di definire meccanismi che portino ad una cittadinanza universale, dall’altra una staticità, tanto negli ordinamenti quanto culturale che produce razzismo istituzionale. «Dobbiamo partire da un dato di fatto – esordisce Marcelli – C’è una visione del fenomeno migratorio che è ispirata a norme giuridiche internazionali, europee e nazionali, che non è asettica. La dialettica che si stabilisce in queste norme è fra razzismo istituzionale e cittadinanza universale. Le norme che vengono sottoposte alla Corte europea dei diritti umani, per esempio, contengono molti elementi di giurisprudenza positiva ma in un quadro di grossa arretratezza. I Cie ne sono uno degli esempi più evidenti ma non gli unici».

Marcelli si sofferma sul contributo di Maurizia Russo Spena che riguarda l’inserimento nel mondo del lavoro, sul saggio di Eva Garau che prova a disvelare le ideologie politiche che ci sono dietro le legislazioni, sul contributo di Claire Rodier rispetto alla disamina della “Fortezza Europa”, come esempi di ricerca che vanno oltre l’analisi politica e tentano di portare  rigore scientifico alle  proposte  che si elaborano. In tal senso si muovono tutti i saggi contenuti nel testo, giungendo, a partire  da problematiche diverse, a porre la questione centrale che Marcelli così sintetizza: «La cittadinanza universale è da agganciare ad uno Stato o a un continente. Ma come ha dimostrato il deludente vertice del 24 ottobre scorso, l’elemento minimo richiesto di solidarietà, successivo alle stragi di Lampedusa e Malta, è stato evaso dalla discussione. Non si è prodotto nulla di utile. Eppure in Europa c’è una crisi profonda fra centro e periferia e l’immigrazione potrebbe essere l’elemento di rifondazione dell’Europa per avere un approccio alternativo col resto del mondo. Non si tratta soltanto di porre rimedio a diseguaglianze ma di partire dall’idea che l’Europa, così come la conoscevamo, è cambiata, è meticcia, attraversata in continuazione da persone provenienti dal mondo intero che in questo continente gettano le basi per il proprio futuro e definiscono anche in parte nuovi scenari per il futuro di tutti. Di fatto l‘immigrazione potrebbe  divenire quel fattore strutturale di cambiamento e di crescita di cui l’Europa necessita se non vuole sparire. Vale in termini di capacità produttive, riproduttive, culturali, sociali e in tal senso bisogna operare modifiche radicali. C’è da porre a tema la questione delle risorse che vengono impiegate per  facilitare o limitare tali cambiamenti – continua Marcelli – Quanto si spende per Frontex? Come si possono invece salvaguardare le vite dei richiedenti asilo perché in fuga da guerre o da catastrofi ambientali? Ma sull’accoglienza si decide di non scegliere. Si preferisce una presenza militare che non ha come obiettivo il salvataggio, ma la necessità di debellare quelle che chiamano reti clandestine. Realizzare canali accessibili, piantarla con le politiche proibizioniste che invece rafforzano i traffici di esseri umani, sarebbe una scelta doverosa».

«Sul piano legislativo sono in campo proposte come quella de “L’Italia sono anch’io”, che prevedono di facilitare l’accesso alla cittadinanza e poi sono forze che per un verso o per un altro fomentano pulsioni razziste e guerre fra poveri. Nessuno riesce a indicare una vera alternativa. Le forze in campo, dal Pd ai sindacati, ad una sinistra inadeguata – e questo sono anche le ricerche nei territori a provarlo – hanno abdicato al proprio ruolo. La cittadinanza, a mio avviso, si costruisce anche sul piano sociale. Si prenda ad esempio la manifestazione che c’è stata il 19 ottobre a Roma. C’erano molti migranti che si erano mobilitati per diritti concreti, come quello alla casa. La risposta delle forze politiche è stata finora di grande incapacità: la ministra Kyenge ha contato poco, il presidente Letta ha svolto un ruolo nullo se non negativo. Al senato la proposta di abolizione del reato di clandestinità ha fatto emergere l’approccio puramente elettoralistico del M5S. Emerge insomma la necessità di una rifondazione del modo di essere della politica che non si può tradurre in una ricomposizione col M5S. Io parto da un elemento, quello dello Stato, delle norme e dei diritti economici, sociali e culturali. Bisognerebbe riprendere i principi sanciti con il patto sui diritti civili e politici ratificato all’Onu nel 1966, includendo un collegamento stabile con l’ordinamento di carattere generale. Entriamo nell’ottica che oggi i diritti sono negati anche agli indigeni, ragione per cui l’approccio non può più essere esclusivista ma universale.

I razzisti di oggi sono la risposta all’assenza di organizzazione sindacale capace di imporre livelli retributivi decenti per tutti. A ben guardare qui come disciplina entra in campo la Storia, quella del movimento operaio». L’Europa sta cambiando rapidamente volto. Le società europee sono multiculturali per cui o si definiscono percorsi di lotta comune con gli autoctoni o si va verso la catastrofe: «Tra l’altro questo è il miglior modo per superare la condizione transeunte di migrante. Se questo non avviene si determina una disfunzione del sistema. Che senso ha uno Stato con 5 milioni di non cittadini? Si indeboliscono le garanzie per tutti, entra in ballo il tema della legalità che riguarda solo fasce specifiche della popolazione. Ci sono spese enormi di polizia dedicate solo agli immigrati, togliendo così risorse ai Comuni. La stessa polizia è distolta dai suoi compiti istituzionali. Insomma, si tratta di 5 milioni di persone governate dal ministero dell’Interno, in un contesto di lotta fra apparati dello Stato con compiti istituzionali diversi. Le forze dell’ordine dovrebbero potersi dedicare di più al contrasto alla criminalità e per questo andrebbe aperto un confronto con i sindacati di polizia». La perdita dei diritti sia formali che sostanziali di cittadinanza è un rischio che riguarda anche noi, da cui il lento scivolamento verso uno degli estremi della dicotomia portante. «A maggior ragione dobbiamo lavorare insieme per una riqualificazione, in termini di applicazione del dettato costituzionale, di spinta alla partecipazione politica attiva. Penso a due temi che non c’entrano, ma solo apparentemente, con i nostri discorsi: il seguito non dato al referendum sull’acqua, si sono ignorate le volontà di 27 milioni di persone, la contrapposizione in alcuni territori rispetto a progetti imposti dall’alto come la Tav, sono evidente segnale di svuotamento della democrazia. Un tema che coinvolge noi come i migranti». Il lavoro prodotto ora dovrà sedimentare e far aprire riflessioni, gli elementi ci sono tutti, trattasi di lettura impegnativa ma stimolante in cui all’analisi rigorosa seguono anche proposte già in campo a cui dare maggior rilievo. Ora il progetto Emigrazione, esaurita la prima fase si getterà in nuove attività. Partiranno indagini, fra quelle ormai pronte a partire c’è il Progetto Amico sull’emigrazione e lo sviluppo della Cina, dove Marcelli si è recato la scorsa estate: «Vorremmo fare un po’ di luce sui cinesi di ritorno, ne ho incontrati molti nella comunità italiana in Cina – conclude – parlano in dialetto, in base alla regione italiana in cui hanno vissuto, ma si sono aperti attività commerciali che sembrano funzionare, come i caffè bar. Si tratta in fondo di buone pratiche di cui ci pare giusto parlare».

Stefano Galieni